Vangelo della I^ Domenica d’Avvento – Anno A
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
(Dal Vangelo di Matteo, 24,37-44)

lettura1Mi chiamo Ychai, ma nella mia lingua madre il nome di un bambino non lo si può pronunciare senza aggiungervi una carezza o un diminutivo, magari anche di una sola sillaba. Ecco spiegato il motivo per cui mi chiamo Ychai più una carezza. In terra di Galilea oggi è il primo giorno dell’anno: sulla tavola datteri e frutta fresca, canzoni e rotoli di papiro. Salmi, inni e cantici spirituali. E’ l’inizio, ma è anche la fine di una storia, la storia della Salvezza. Perché presso di noi ogni azione, gesto e pensiero sono sempre e solo i primi e gli ultimi: nella legge di Dio non vale il principio che ogni cosa ritorna uguale a se stessa. Questo momento è per noi l’ultimo momento. Il mio amico italiano scriverebbe sul suo zaino: “Vivi questo giorno come se fosse l’ultimo”. Da noi si tradurrebbe: “Vivi questo giorno, è l’ultimo”. Non esiste il come se: quaggiù c’hanno insegnato sin da bambini che nella vita non ci sono repliche. E tantomeno possibilità di correzioni.
Leggo e traduco la Scrittura perché mi piace capire il quando e il come della mia storia. Oggi il Rabbì – quest’Uomo di cui sempre più gente parla e s’innamora – ha rispolverato nella sua arringa alla folla (Mt 24,37-44) una storia già sentita – quella di Noè, dell’arca e del suo tempo – per parlare di noi. A me e ai miei compagni sono rimaste impresse due immagini ordinarie, profane, quotidiane: il campo e la mola. Lui ha detto: “due uomini saranno nel campo, due donne saranno alla mola”. Tutti abbiamo capito subito perché qui da noi il campo e la mola significano la vita e la sussistenza. Poi, però, ha continuato: “uno sarà preso e l’altro lasciato, una sarà presa e l’altra lasciata”. Fanno lo stesso lavoro entrambi, eppure la loro sorte è opposta: preso e lasciato, vivo e morto, salvo e condannato. Ciò che vuol dire il Maestro – e ce lo ha spiegato il papà di Moshe quando ci ha presi in disparte – è questo: Dio fruga dentro il quotidiano (la mola e il campo) per scoprire se noi abbiamo scelto di stare con Lui o con l’Avversario. Possiamo essere entrambi occupati nella medesima azione, ma sarà l’atteggiamento a fare la differenza. La donna salvata sarà quella che lavorava alla mola con lo sguardo attento sul futuro, quella condannata sarà la donna colta distratta. Allora diviene chiaro anche l’esempio di Noè e dei suoi amici mentre il diluvio stava per scatenarsi. Gesù non tributa loro un’accusa di malvagità o violenza (questo lo fece Dio al capitolo 6 della Genesi), ma li condanna per la loro colpevole sbadataggine: “e non si accorsero di nulla finché non venne il diluvio e portò via tutti”. E’ l’accusa peggiore, come avesse detto loro: “distratti, incoscienti, menefreghisti, sventati”. Anche qui da noi in paese si mangia, si beve, si firmano compere e si strappano contratti. Tutto normale per i rabbini, ma solo noi bambini oggi abbiamo capito che il segreto è stare attenti e farsi trovare attenti. I grandi sospettano che Dio rubi loro qualcosa, noi iniziamo a sospettare che questo Maestro abbia nascosto la novità della storia nel mezzo delle sue parole e delle sue immagini. Infatti all’ora di pranzo tutti i grandi se ne sono andati un po’ angosciati: “quando accadrà questo, Signore?”. Noi bambini, invece, eravamo felici d’aver intuito il segreto per rubare a Lui la chiamata: essere attenti nelle faccende di tutti i giorni.
Sulla strada di casa abbiamo sentito che qualcuno di noi ha incrociato Paolo, il guerriero di Tarso. Tutto preso e indaffarato per i preparativi finali – lui crede davvero che Dio stia finendo di pennellare gli ultimi angoli della storia – urlava a chi sedeva ai tavolini dell’osteria del paese: “è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti” (Rm 13,11-14). Mica scherzava Paolo. Qui è davvero tempo che ci svegliamo dal sonno per non arrischiare di farci trovare distratti quando il Maestro si metterà a frugare tra le righe della storia. La mola e il campo: pensa quante cose nascoste dietro queste due immagini presentate con il linguaggio dei bambini e non con quello difficile dei rabbini.
L’ha capito persino Ychai, il postino di Cafarnao.

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