Il tintinnìo delle chiavi: “Chiusura!” grida l’agente. E’ subito sera: «Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole» (S. Quasimodo). La sera del Venerdì Santo, una serataccia per il cristiano: l’arresto, la condanna, la crocifissione, la morte di Cristo. La sua via Crucis, quelle di chi, alla sua notte, chiede di spegnere i pensieri rimasti accesi, di far svanire le incomprensioni. La sera nasconde il carcere, rivela le persone. L’ultimo gabbiano spicca il volo.
Un altro gabbiano svolazza nel cielo di San Pietro: sta tentando di planare. La Piazza è “liscia” come una cella di galera, inquietante come un carcere visto in lontananza. Nelle celle, cinque uomini sono incollati alla tv: sta per iniziare la Via Crucis più contemporanea alla loro storia. Le loro cinque storie di passione saranno capitoli della Passione di Cristo. Quand’inizia – il Papa, la Croce, quella piazza spettrale – i punti di domanda sottaciuti e le mezze-verità vomitate nei tribunali sono tutte lì, davanti, in fila-indiana. «L’ho seguita col mio compagno di cella – mi racconta il primo -, l’ho seguita in piedi. Alla V^ stazione, la mia, ero elettrizzato: ho voltato le spalle alla tv e mi son messo a guardarla riflessa negli occhi del mio compagno di cella». Gli sguardi al tempo di galera: «Si sforzava di non piangere». In una stessa serata, il linciaggio e la carezza: «Il Papa ha avuto coraggio da leoni a sceglierci come compagni. Stava in ascolto, concentrato, in preghiera: “Voce di uno che grida nel deserto!”» La sofferenza, condivisa, è un riconoscimento: «Finito tutto, ho dovuto riordinare le idee, ero stordito». Amen.
Un passo dopo l’altro, di cella in cella: «I^-III^-IV^- VI^ stazione», parevano stazioni di galere sofferte. «Mettiti nei miei panni – mi aiuta a ragionare un altro, con l’ergastolo in spalla -: da 29 anni abito dentro una cella due metri per due. Il Venerdì Santo, da dentro qui, ho visto la mia storia in mondovisione». Portare in alta definizione ciò ch’è rimasto in-bassa per una vita, è grazia che raddoppia la pena: «Dalle vertigini, non sentivo l’audio: ho dovuto alzarmi, avvicinarmi alla tv, ascoltarla come si ascolta una radio mentre si cammina». Di sera ci provi a nascondere i giorni, gli oggetti. L’oscurità, però, ne esalta la sensazione, dice l’essenza: «Ho seguito i vostri passi lenti, gli occhi del Papa, il vuoto in piazza. Ho preso sonno la mattina: i pensieri mi hanno scardinato». Il più bel pensiero è sempre il più pesante: «Ho rivisto i miei errori, mi sono visto in piedi». Alcuni hanno provato gelosia: ognuno vorrebbe essere Dio, senza la croce però.
Milioni di persone incollate allo schermo. Milioni di occhiate dentro le celle: «Mi ha colpito il silenzio finale del Papa – è il terzo che parla -. Ha taciuto, come dire: “E’ stato detto tutto, fate voi. Buonanotte!» Puoi capire una persona anche da come guarda la tv: «L’ho seguita tutta coi cuscini stretti tra le braccia. Quelle parole sembravano delle case-in-affitto: erano le mie ma era come se fossero a disposizione». Parole soppesate, riconosciute: «Il mio compagno di cella, alla VII^ stazione, mi ha guardato: “Sei tu!”» Sua madre, nel Sud, stava davanti alla tv: «Il giorno dopo le ho telefonato. Era rotta dall’emozione: “Ti ho riconosciuto in mezzo a quelle storie. C’eravamo dentro tutti. Che Via-Crucis, figliolo mio!» Riconoscersi, nel mezzo di un naufragio, è sapere di non esser soli: «Omicidio, agenti, magistrati, volontari, detenuti, vittime: nessuna via Crucis ha il diritto di replica». Due celle oltre: «In sezione non volava una mosca – dice il quarto – ho ancora la pelle d’oca. Quando ho sentito la storia di quella figlia, ho pensato alla mia. “Papà, ho pianto davanti alla tv: sentivo che c’era del vero nelle tue parole. Alla bambina ho detto: E’ il nonno che ti sta parlando!» Quando sei nei pensieri di qualcuno, la galera non è più la galera: sei in un posto tutto speciale.
L’ultima cella è sovraffollata: c’è una madre col figlio. «Quando ho sentito il racconto di mia madre, non me l’aspettavo così. Mesi fa le dissi di accettare la proposta: volevo conoscerla meglio, certe cose non me le avrebbe mai dette». Una madre che si racconta sofferente è una catechesi mariana in-diretta: «Il mio compagno di cella non era interessato al discorso: me la sono seguita con le cuffie. Ho rivisto tutta la mia via-Crucis. Anche lei, che non c’è più per colpa mia». Venerdì c’era il mondo addosso a queste anime: il mondo dei vivi e dei defunti. «Papà è taciturno, segue la mamma» chiude. Sui Calvari, stabat Mater.
La croce, quella che pareva nero-pece quella notte in Piazza, staziona ora in carcere: «Portatela a casa voi» ha detto Papa Francesco al Direttore. Che, stordito, ha pensato subito alla sua comunità: «Santità, posso dire ai ragazzi che verrà a trovarli?» Con amabilità: «E’ un desiderio che ho nel cuore da tanto. Dica grazie, intanto». “Intanto” è un avverbio di tempo determinato: promessa. Come la croce che, arrivando, ha colorato di Pasqua il cemento della galera.
(da Il Mattino di Padova, 19 aprile 2020)