Lo sapevano. Eccome lo sapevano. Perchè da quand’erano nati avevano sempre sentito dire che il sabato – il terzo dei dieci, quello che parla della santificazione delle feste – era il più grande dei comandamenti. Così grande che anche Dio l’osservò. Lo sapevano, eppure anche stavolta Gli vogliono tendere un agguato: uno di quei tranelli dei quali loro erano artigiani impareggiabili nelle botteghe della loro religione. Forse ancor più pressanti stavolta perchè hanno sentito che l’Uomo di Nazareth «aveva chiuso la bocca ai sadducei» (liturgia della XXX^ domenica del tempo ordinario). Non sia mai che la loro – la parola dei dottori della legge – non sia più l’ultima parola su tutto. Su Dio stesso, innanzitutto. Prevedibili, piccini, omuncoli di fronte all’Uomo: «Maestro, nella Legge, qual’è il più grande dei comandamenti?» Non avesse voluto dare loro la soddisfazione di riconoscere il sabato – la formalità, le frasi di circostanza, ciò che si vuol sempre sentirsi dire – avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta: la legge antica tratteneva nel suo grembo 613 precetti: nulla di ciò ch’era tipicamente umano sfuggiva al legalismo di chi scambiava la sua idea di Dio con il Dio dei Cieli.
Anche stavolta, invece, Dio rimane il Dio delle sorprese, il Dio dell’inaudito, il Dio anche solo spiato nella sua vertiginosa bellezza: «Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i luoghi e i tempi di quell’incontro» (Francesco, Evangelii Gaudium) Il Dio la cui capacità di sintesi da quel giorno rimase impareggiabile e per certi versi imbarazzante: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente». Punto e a capo: da qui nasce tutta la Legge e tutti i Profeti. L’immensità, la vastità, forse anche la giustizia stretta e costretta all’amore per Dio. Un amore al tempo futuro – «amerai» -: il tempo di ciò che sarà e di ciò che potrà essere, il tempo dei cambiamenti e delle possibilità, l’occasione delle nuove partenze e degli accrediti. Il tempo giusto per un amore giusto: un amore sempre al futuro quello di Dio, la proiezione di ciò che non sarà mai totalmente abbracciabile, la vittoria dell’inimmaginabile sull’immaginabile. Il volto di Dio del quale il salmista tradisce una nostalgia accecante: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!” Il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 27,8). Al tempo futuro e allo stremo delle forze: con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Un Dio da cercare con tutta la forza del desiderio, fino allo stordimento dei sensi. Nel Vangelo non si mercanteggia il Cielo: c’è solo il sospetto che il poco non basti per accarezzarlo. Che il troppo non basti per possederlo. Che il tutto sia la giusta misura per lasciarsi possedere dal Cielo. E, imbarazzati, avvertire di possedere se stessi: l’unico potere ammesso nei Vangeli è quello di colui che ja se stesso in proprio potere.
Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l’America, bensì quando era in viaggio per scoprirla […] L’importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. […] L’importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa! […] Del resto, voglio aggiungere che ogni idea nuova o geniale concepita da un uomo, o anche, semplicemente, ogni idea seria gemmata nella mente di qualcuno, resta sempre qualcosa che è impossibile trasmettere agli altri uomini, anche se si scrivessero interi volumi e si impiegassero anche trentacinque anni nell’intento di interpretarli; rimarrà sempre qualcosa che si rifiuterà in ogni modo di uscire dalla vostra testa e resterà sempre chiuso in voi.
(F. Dostoevskij, L’idiota)
Lui e l’altro: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Sempre in compagnia, mai da soli: la Trinità stessa è compagnia perchè l’essere soli moltiplica la paura. Eccolo l’altro: il prossimo, il forestiero, lo scartato. Lo scarto. Anche quello amerai: al tempo futuro, illimitatamente, senza esclusione di colpi. Lo amerai per avere in dote la possibilità graziosa d’osservarlo con gli occhi stessi di Dio: «La condizione decisiva è mantenere lo sguardo fisso su Cristo – suggeriva Francesco durante il Sinodo per la Famiglia – Ogni volta che torniamo a Cristo si aprono strade nuove e possibilità impensate». Forse anche squarci nuovi sull’amare lo straniero da noi stessi, il prossimo per l’appunto: «come te stesso». Pochi avverbi pesano come quest’ultimo dentro la bilancia del Vangelo. Come te stesso: non di più e non di meno. Come, cioè in egual misura. Dal momento che nei Vangeli non è mai possibile amare gli altri disprezzando se stessi, non è mai possibile amare Dio disprezzando l’uomo, non sarà mai possibile amare Dio scansando se stessi e aggirando l’uomo. Un avverbio ch’è un tranello. D’altronde per poter cambiare il mondo, il punto di partenza è sempre quello: l’uomo. Non da solo, in compagnia di Dio. Cioè con gli uomini.