“Se è per essere incazzata col mondo tutto il giorno come mio padre, allora è meglio ammazzarsi di alcool e pasticche”.
Un’affermazione potente, che mi è arrivata come un pugno nello stomaco. L’ho letta tra le righe, in un post su Instagram. La puzza della morte si aggira silenziosa e come una coltre di nebbia pare avvolgere lentamente i desideri, gli slanci e i sogni dei nostri alunni.
Qualche settimana fa, mi è capitato di poter ascoltare un lavoro fatto in classe relativo alle paure degli studenti. Una lista apparentemente asettica, eppure intrisa di verità, realtà e incarnata umanità. Le paure di quei ragazzi dicevano preoccupazione per un futuro che sembra non avere punti di riferimento stabili e certi; paura per un’identità ancora così informe; paura che l’amore venga a mancare, finisca e rimanga solo la solitudine. Paura di perdersi. Come può la scuola raccontare loro che c’è qualcuno che è lì per guidarli? Non un semplice affiancarsi per il tratto di strada dei 60 minuti di lezione. Non solo. Come può la scuola con la sua essenza, coi suoi contenuti, spalancare le porte su un mondo che assuma tinte meno tragiche e lasci intravedere squarci di felicità possibile? Come può la scuola aprire nuove strade, far contemplare orizzonti estesi e regalare una direzione?
Anche Dante all’inizio del secondo canto dell’Inferno ha nuovamente paura. È già partito per il suo viaggio, eppure, dopo soli pochi versetti, ecco una reiterata partenza. Apparente umiltà, vigliaccheria in realtà. “…Ma io perché venirvi? o chi ‘l concede?/ Io non Enea, io non Paulo sono; / me degno a ciò, né io né altri ‘l crede…” . Virgilio lo precede, come un buon maestro gli fa strada; Dante dietro ai suoi passi trema impaurito. È chiamato a un destino grande, oltre ciò che sta vivendo, ma crede di non farcela a reggere l’incontro con quanto andrà a scoprire di sé e del mondo. Crede di non essere capace. Quanti nostri alunni vivono e ci rimandano questa condizione. Sarà Beatrice in persona che inviterà Virgilio a farsi maestro e viatico per il Cielo con Dante. L’amore soccorre la paura di non farcela, di non essere “abbastanza”.
Solo l’Amore riempie quello spazio, quel vuoto, quell’abisso infernale che ciascuno porta dentro di sé. Ciascuno di noi professori può farsi maestro e profeta come Virgilio. Diventare la voce vivente dell’Amore, per permettere che le paure, che abitano i nostri alunni, possano essere incontrate dalla Misericordia, dalla Speranza e dalla Carità. Tutta la realtà, allora, assumerà tinte colorate, tutto tornerà ad essere possibile e buono per sé. Ogni situazione sarà fonte di gratitudine e di crescita profonda. La paura di intraprendere il viaggio della vita non avrà il sopravvento.
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