pinocchioC’è una frase che ricorre spesso: «Siamo in una società liquida». Che è come a dire che l’incertezza regna sovrana e incontrastata, che la complessità è tale che non è possibile sbrogliare la matassa. Che tutto è considerato lecito e fattibile, in nome di una libertà individuale che diventa imposizione di massa. Perché quando la libertà individuale è una scelta egocentrica, al resto dell’umanità è preclusa la scelta garantita a un individuo. Ma non è neppure possibile affermarlo: non è che un’opinione, tra le tante. Non è che non abbia diritto di cittadinanza: ci mancherebbe, ce l’ha; solo che si perde, nella melma del relativismo.

La verità esiste ancora? Ci sono tante verità, ognuno la sua, personale e pronta all’uso, eventualmente riciclabile. Salvo poi vederle moltiplicarsi, azzuffarsi, crescere, rincorrersi. Tutte uguali, sempre di più, sempre più indistinguibili: sullo stesso piano, sullo stesso livello, come tanti fratellini che reclamano l’attenzione della mamma!

Tanti affermano di cercare la verità, pochi ne sono davvero alla ricerca.

Troppo spesso, impera il perbenismo, il doppiogiochismo, l’ipocrisia. La fuga dal reale. Si fa tanto parlare di verità, ma piano piano il suo valore è eroso da un relativismo che, da filosofico, si fa sempre più esistenziale, legato al concreto, al reale della vita.

Fa orrore chiamare “omicidio” l’aborto. Sarebbe ideologico. C’è ben poco di ideologico nella morte. La morte è un fatto. E se un essere prima era vivo e poi morto e questo non per malattia, ma per intervento dell’uomo, è d’uso parlare di omicidio. Aggiungiamoci medicalmente assistito, se vogliamo sottolineare che si tratta di una cosa ben fatta, in guanti bianchi appunto. Se la cosa non fosse estremamente seria, mi verrebbe quasi da sorridere. Abbiamo più paura della crudezza delle parole che della crudezza dei fatti? Anestetizziamo le parole, le addolciamo, quasi che questo accorgimento possa rendere meno drammatica o cruenta la cosa descritta.

Il relativismo impera, fino a sostenere che si tratti di una “personalissima idea” il sostenere che la morte sopraggiunga quando il cuore smette di battere. Un’idea molto originale e buffa, che viene usata anche dai medici per accertare la morte. Perché, com’è noto, la medicina si serve di personalissime idee per studiare strategie di guarigione e metodi di diagnosi.

Pensiamo alla cronaca, al sensazionalismo, alla ricerca dello scoop: siamo anni luce dalla ricerca onesta della verità. Ci accontentiamo di un applauso, ci accontentiamo del clamore che suscita una prima pagina. Abbassiamo l’asticella e scegliamo che è meglio accontentarci piuttosto che approfondire, scavare, riflettere, non accontentarci della prima risposta ad un argomento. Non indaghiamo, non investighiamo, non studiamo la situazione. E non riusciamo quindi neppure ad argomentare le nostre idee.

Tutto si riduce ad opinione, ed è quindi opinabile. Tutto è in balia del soggettivismo personale, dimenticandoci però che, prima di esprimere un parere, un giudizio, una valutazione personale, ci sono i fatti, c’è la realtà. È su questo che esprimiamo idee, opinioni, giudizi, aspettative.

E la realtà non è soggettiva. Semplicemente, è.

Se io fossi daltonica e non distinguessi il rosso dal verde, sarebbe un problema mio, ma non è che per gli altri è verde e per me no. Oppure, se io fossi sorda, non per questo potrei dire: “la musica non esiste”. Sono io che non la sento. È profondamente diverso. Che poi, anche qui troviamo un’ipocrisia delle parole. I più delicati noteranno che avrei dovuto dire “non udente” (come se un termine più soft diminuisse il deficit uditivo o l’eventuale disagio da esso provocato nella vita quotidiana!).

Eppure sembra non essere concepibile questa differenza, su cui si basano tanti aspetti della nostra vita. C’è una realtà che si mostra, nuda, a volte anche cruda, perché no? Possibile che l’unica reazione sia il rifiuto? Non è forse una fuga dal reale anche questa, senza ausilio di farmaci o droghe di sorta, ma pur sempre un “viaggio” illusorio che evade dalla Verità?

Si possono discutere motivazioni, tesi, ipotesi, idee, opinioni; ma la realtà non è discutibile. È e basta. Non è un dogma, no. Ma ci sono alcune cose che non ha senso discutere, perché sono evidenti. Se io passo col rosso al semaforo, non posso dire che era verde. Posso avere scusanti e attenuanti, persino motivazioni valide che mi hanno fatto compiere questa scelta  (per esempio, se a passare col rosso era stata un’ambulanza, un’auto medica o altro veicolo che in quel momento era adibito al trasporto di feriti gravi e che, per tale motivo, sfruttava ogni prezioso secondo per giungere a destinazione).

Il ruolo della verità non è necessario solo a livello globale e universale, nelle questioni umanitarie e sociali in cui sono in discussione valori etici o morali (pensiamo alle mille guerre d’Africa passate sotto silenzio, allo sfruttamento dei bambini, alla violenza sulle donne, alla sopraffazione dei più deboli, ai poteri forti che dilagano per l’Europa… l’elenco completo sarebbe molto lungo!). Si è parlato recentemente della Giornata della Memoria per le vittime del Nazismo e delle vittime delle foibe, della necessità e del dovere di ricordare senza chiudere gli occhi di fronte a quello che dà fastidio vedere.

 

Tuttavia, c’è anche una dimensione più riservata che non è di portata inferiore. Prima di fare questo passo impegnativo, ne è necessario un altro. La pace interiore. Non è un concetto orientaleggiante privo di significato. Trovare pace dentro di sé significa innanzitutto fare verità di sé, accettarsi con pregi e difetti, con la propria storia, la propria famiglia, il proprio dolore (nessuno ne è immune), la propria fragilità e la propria forza. Fare verità significa non vedere solo il groviglio indistinto che ci compone, ma soffermare lo sguardo su ogni singolo dettaglio.

Fare verità comporta poi un passo successivo facile a parole, ma estremamente impegnativo nella sua realizzazione. È l’impegno di una vita riuscire nell’impresa. Si chiama coerenza, fa rima con credibilità. È la conseguenza che è richiesta a chi vuole vivere (o così dice) nella verità.

E i primi a richiederla sono i giovani che, nella loro ribellione, sono però capaci di riconoscere (e ammirare) gli esempi che incontrano di coerenza. Il difficile è incontrarli.

A ciascuno l’augurio di poter essere quell’incontro, almeno per un’altra persona.

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