Chilone San Marco Flooded

Lo sanno bene i pittori vedutisti, da sempre innamorati della città, che, per via dell’acqua che la pervade, consente riflessi ed effetti di luce particolari ed irripetibili, avvolti in un’atmosfera che, dal momento in cui ci metti piede, ti prende, per non abbandonarti più.
Le sue calli, il molo, le briccole che affiorano dall’acqua, novelli guard rail, quell’odore salmastro che penetra le narici qualunque sia la strada che decidi di percorrere, tra ponti e gradini che sembrano non finire mai.

Venezia. Una città fragile e preziosa. Un ecosistema unico, una specie di “miracolo” italiano, che l’intero mondo ci invidia e che nessuno, che l’abbia vissuto (perché Venezia non si visita mai, si “vive”, perché è la città che ti penetra dentro, mentre i tuoi piedi la percorrono, la assaporano, la palpano in ogni anfratto) almeno una volta nella vita, riesce a dimenticare.
Venezia: fascino irresistibile di storia, d’arte e cultura. Un “museo a cielo aperto”, si dice. Con tutti i rischi che una simile definizione, nel concreto, comporta. Perché si tratta di un museo perpetuamente esposto alle intemperie: il caldo afoso dell’estate, il gelo ed il vento freddo dell’inverno e quella salsedine perenne che impregna tutto (il legno delle briccole, i muri delle case, i vestiti, i capelli, la pelle).
Venezia è sott’acqua. Tutto il mondo è in allarme. Perché ci sono storie che sono di tutti e ci sono città che contengono – e rimandano – esperienze che sono condivise, sognate, raccolte tutte assieme, come in un comune album di famiglia.
Nel frattempo, però, la gente è reclusa in casa. Guarda il bollettino, aspetta il picco previsto, pensa al peggio. Venezia, terra che si affaccia sulla laguna veneta, che dà il buongiorno all’Adriatico da millenni, che ha conquistato l’intero Mediterraneo, fino ad arrivare al Mar Nero, con i suoi mercanti scaltri e pieni d’iniziativa (ricchi di sale, navi e santi).

Arriveranno la politica e le discussioni su colpe e meriti – e, in parte, già sono iniziate –. La questione del MOSE famoso (un sistema di dighe pensato apposta per Venezia, affinché possa contrastare i fenomeni più gravi di acqua alta, ma rimanendo pressoché invisibile, così da non deturparne il panorama unico al mondo), perché non è ancora pronto, dopo trent’anni che se ne parla, di chi sia la colpa, ma, soprattutto, se davvero sia utile alla causa, se sia voluta dagli abitanti.

Eh sì, perché a Venezia ci sono anche degli abitanti. Sembra quasi strano pensarlo, a noi che, se ci siamo passati, è stato per turismo. Un giorno solo, spesso: andata e ritorno in giornata. Una manciata di giorni, per i più fortunati. Eppure, qualche coraggioso che – ancora – sceglie di abitare quel dedalo di vie, ponti, calli e salite, tra Ca’ Granda, San Marco e l’Accademia, in una Laguna unica al mondo, c’è.

Venezia, ora, è una città che lotta, contro una situazione anomala, contro un’acqua alta più alta del solito, che l’ha messa in ginocchio, costretta a fare i conti con quella solidarietà a cui la gente si rivolge, quando il dolore di una difficoltà comune rivela, con maggiore nitidezza, quella fraternità che la quotidianità, spesso, obnubila in modo irreparabile.

Venezia sott’acqua è come un gioiello, di cui, proprio perché sotto i nostri occhi da sempre, rischiamo – paradossalmente – di perdere il valore inestimabile. Questa situazione possa diventare, simbolicamente, monito tenace di tutto ciò che rischiamo di perdere, perché lo diamo ormai per scontato, assuefatti alla sua presenza.

Abbiamo un tesoro in vasi di creta. Un patrimonio inestimabile, di cui tutti siamo chiamati a prenderci cura.

Oggi vediamo la fragilità di Venezia, che ci mostra la nostra e ci chiede – una volta di più – di non pensare mai che la Bellezza possa essere scontata.

 


Fonte immagine: Wikimedia, dipinto di Vincenzo Chilone (1825)


Consigli di lettura e di visione:

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Il Sole 24 Ore
Quotidiano

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