E’ la lezione che, ascoltata quand’ero alle scuole elementari, ancora oggi ricordo con imbarazzato stupore. Il 29 dicembre 1979 il fisico e meteorologo Edward Lorenz dimostrò come il semplice battito d’ali di una farfalla in Brasile – inizialmente era un gabbiano, poi affinò la sfida – potesse produrre quel piccolo cambiamento delle condizioni atmosferiche iniziali grazie alle quali, una settimana dopo, si sarebbe potuto scatenare un tornando in Texas. “Piccole variazioni di temperatura – disse la maestra – possono generare conseguenze catastrofiche”. A sostituire i termini, non muta la sostanza: un piccolo gesto, in apparenza irrilevante, potrebbe essere il principio di un movimento tellurico.
E’ perché mi ricordo ancora, con immutata sorpresa, di quell’effetto-farfalla che oggi andrò a votare. Capisco, decifrando il succo della questione in questa sorta di cacofonia nazional-popolare, che è in ballo il destino della Costituzione, l’ultima eredità che ho raccolto dai miei antenati, da mio nonno stesso. E’ come se entrassero a casa mia, dicendomi: “Prendi la tua eredità che la ridiscutiamo”. Non so cosa verrebbe fuori alla fine, ma di una cosa sono certo: che dinanzi a quella richiesta-di-ritocco non dirò certo “Fate voi!”: sarebbe come lasciare nelle mani di gente foresta l’affetto e la sorte del mio casato. Dire fate-voi significa poi pagare dazio di quella cattiva gestione della quale tutti ci lamentiamo: d’altronde «i pessimi funzionari – come scriveva George Nathan – sono stati eletti dai bravi cittadini che non votano». Io i cattivi politici li detesto: l’arte della politica, però, sento di volerla-amare, di doverla-amare. Un giorno ho conosciuto un uomo che ha tradito sua moglie, dunque anche i figli: quell’uomo, però, non è riuscito nel convincermi che essere-padre sia orribile, impossibile. Non gli è riuscito di farmi cambiare idea su mio papà. “Tutti i padri sono traditori”: non c’è affermazione più gradita agli occhi di chi tradisce, è come se avessero la certezza che ce l’hanno fatta a vincere sull’intera paternità. Oggi, poi, vado a votare con ancora più passione perché si vota solo di domenica e la domenica, a casa mia, è il giorno della festa: anche quella volta fu una festa-nazionale. Il diritto-di-voto è diventato una sorta di diritto-di-volo: liberi di inseguire il sogno della libertà.
“A me non interessano queste cose, non ci vado” mi ha detto un ragazzo a scuola qualche giorno fa. Cioè mi ha detto che, del suo futuro, non gli interessa: «Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione» (P. Calamandrei). Oggi la mia Costituzione ha un nemico in più dal quale difendersi, che non è il tizio che la vuole cambiare a tutti-i-costi, nemmeno l’altro che la vuole a tutti i costi lasciare com’è. L’unico grande nemico, stamattina, è il non-voto: che è la mancata voglia di contribuire, fosse anche solo per una parte infinitesimale, alla costruzione del mio avvenire, all’organizzazione della speranza nella mia patria. C’è uno splendido racconto custodito nei Vangeli: narra del referendum indetto per deliberare chi andasse scarcerato tra Barabba e Gesù. A perdere quel referendum non fu Cristo, nemmeno la folla feroce: lo perse Ponzio Pilato, che non ebbe il coraggio di buttarsi dentro la mischia e tentare di puntare alla meta. Nella mia fantasia ho sempre preferito la figura di Giuda Iscariota a quella di Ponzio Pilato: il primo lo tradì di getto, il secondo lo tradì potendolo salvare e non facendolo, non esprimendo il suo voto in merito. Il battito d’ali di una farfalla anche quella volta avrebbe potuto far cambiare verso ad una storia già in atto. Lo capirono dopo che quella storia riguardava tutti, non solo il destino di uno.
Non so chi dei contendenti oggi vincerà, so solamente chi ha già perso: chi oggi non voterà. Sarà dare fiducia non a chi cura il popolo, ma a chi lo droga.
(da Il Mattino di Padova, 4 dicembre 2016)