The Sower

Invece che “castigarne uno, per correggerne cento” (dalla citazione latina, ampiamente sfruttata, in epoca moderna, da Mao Zedong alle Brigate Rosse, Unum castigabis, centum emendabis ), il vero motto dell’educazione dovrebbe invece essere “educarne 100, per ottenerne uno educato”. Triste, tante volte frustrante; ma questa è la (dura) realtà dei fatti, alla quale non è possibile sfuggire. E ciò è vero nel piccolo come nel grande, in contesti cattolici come in contesti laici. Anche se, in verità, una peculiarità a sostegno dei cattolici c’è: è possibile lasciarne 99, solo in virtù della fiducia nella Provvidenza, a cui queste ultime rimangono affidate, mentre il pastore è impegnato nella ricerca di quell’unica che si è persa e in quel momento ha fame, freddo, paura, ma soprattutto la speranza ed il desiderio di essere cercata (cfr. Parabola della pecora smarrita).
La parola del seminatore è l’unica spiegata da Gesù: senza entrare nel dettaglio, visivamente credo sia molto utile nel campo dell’educazione, specie di fronte alle sconfitte educative, perché ci pone la figura di un uomo che esce a seminare, fa la fatica di spargere con abbondanza il seme in ogni luogo (sulla strada, tra i rovi, tra le pietre, in terra buona), accettando quindi che molta parte della sua fatica sia “sprecata”. Questo, se ci pensiamo, è molto realistico.
Alle volte, infatti, ci sono fatti comportamenti, emozioni, situazioni che si incancreniscono. Talvolta, sono indice di una ferita ancora aperta: nonostante, a prima vista, appaia chiusa, a premerne leggermente i lembi, anche solo inavvertitamente, pulsa ancora, provoca dolore, a volte sanguina anche un po’; nella maggior parte del tempo, ti sembra di avere del tutto dimenticato, ma poi si ripresenta una situazione simile e tutto torna a galla e, con ciò, anche un atteggiamento difensivo che complica le cose. Altre volte, invece il nemico, apparentemente più banale, è in realtà subdolo e meschino; lo spettro dell’abitudine: una volta incanalati in quella dinamica, è spesso difficile uscirne, perché, purtroppo, il rischio è spesso quello di “viaggiare con il pilota automatico” e non riuscire a disinnescare ciò che porta ad una situazione negativa. Un po’ come nel bowling, quando la palla s’incanala lateralmente: la prima volta è delusione inattesa, ma, in seguito, soffocati dalla paura che ciò si ripeta, il rischio è proprio – paradossalmente! – che ciò accada di nuovo, ancora ed ancora, in una sorta di “cortocircuito”; come se il nostro cervello ed il nostro braccio avessero del tutto dimenticato il movimento, la forza e la direzione corretti per ottenere uno strike o almeno uno spare. Si forma una sorta di “blocco”, oltre il quale non riusciamo ad andare. Così è, alle volte, anche all’interno delle dinamiche educative, da ambo i lati, anche nelle questioni più minute. Pensiamo alle rispostacce durante l’adolescenza: magari la prima volta, il genitore compie un’azione ripetuta e susseguita negli anni, la domanda è semplice, non posta con arroganza, né sfiducia, ma la risposta ricevuta è invece arrogante e strafottente, in modo esageratamente spropositato rispetto alla richiesta. Successivamente, un po’ per istinto e per spirito di conservazione, un po’ perché si è ormai innescato un meccanismo deleterio di corrosione reciproca, la tendenza sarà di instillare anche nelle richieste o domande più semplici una certa sfiducia, rassegnazione, quando non addirittura un certo malcontento astioso. Siamo entrati in un circolo vizioso, che sarà difficile scardinare: la mancanza di entusiasmo e di fiducia ferisce il giovane, che tenderà a rispondere male, cosa che farà sentire offeso ed umiliato l’adulto, che quindi reagirà con aggressività almeno verbale e così via, dando vita ad un circolo vizioso, difficile da scardinare. Quello che accade in modo forse più vistoso con un figlio adolescente, spesso accade, in realtà, anche nei rapporti che, deteriorati dalla mancanza di assertività viaggiano ormai, magari non nell’aggressione verbale esplicita, ma sicuramente permeati da uno strisciante ma sempre presente nervosismo, che lo intossica come un veleno.

Queste situazioni, magari apparentemente trascurate perché riteniamo di secondaria importanza, sono spesso le più difficili da superare, proprio perché l’abitudine tende ad “incastrarci” nella riproposizione delle medesime risposte alle medesime problematiche, invece di trovare nuove strategie.
Ciò è vero anche a livello pastorale ed ecclesiale: quante volte ci impegniamo nella realizzazione di progetti, attività, iniziative per la parrocchia, nel tentativo di dispensare con generosità quella linfa vitale, che proviene da Cristo, a quante più persone possibili, ma incontriamo rifiuto, opposizione o, forse ancora peggio, una scarsa risposta in termini di partecipazione, vedendo vanificati tutti i nostri sforzi?
In fondo, è forse questa la fatica più grande in assoluto: compiere il primo passo, con speranza, anche col rischio di rimanerne deluso. E riproporlo ogni volta, con la stessa novità e freschezza, anche quando si è rimasti delusi. Ma compierlo ugualmente, con fiducia, nel tentativo folle, coraggioso e, a volte, persino un po’ sconsiderato di fare tabula rasa di ogni precedente mai avvenuto prima. Come se non ci fossero ieri o domani, ma soltanto un eterno oggi da vivere, un eterno istante in cui giocarsi la vita intera. E non importa nulla del prima o del dopo, ma siamo pronti a scommettere solo su quell’istante, con la speranza ardente e mai doma che proprio quello possa essere l’istante giusto, per far cambiare il corso del vento e, magari, anche il corso del tempo, della vita. “Aggiustare” quello che si era rotto. Perché era stato rotto qualcuno, magari. E quel qualcuno potresti essere tu. O io. Ma non è importante, perché ciò che conta è mettersi al lavoro per ricucire gli strappi, rimettere insieme i cocci. Sembra quasi uno sport estremo, in un’epoca in cui aggiustare sembra ormai passato di moda, perché non ne vale più la pena: acquistare un oggetto nuovo, conviene, listino prezzi alla mano!
Quest’opzione non è consentita, anzi è tassativamente vietata, nel campo dell’educazione, nel quale è richiesta l’evangelica follia di ricominciare, di dare senza posa, “a perdere” il più delle volte, senza per questo perdere il sorriso o l’entusiasmo, ma riscoprendo nel Volto amico del Cristo l’unico motivo valido per cui convenga ricominciare: una Bellezza eterna che non delude mai e richiama alla perseveranza quale arma irrinunciabile per ogni discepolo, nella corsa verso l’Amato!

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