«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18): è il paradosso di quest’epoca. Mai, come oggi, è facile connettersi con ogni angolo del pianeta. Mai, come oggi, risulta difficile incrociare il proprio sguardo con quello dell’altro. Le case, addossate le une alle altre, sembrano avere mura insormontabile. I vicini di casa, pur vivendo gli uni accanto agli altri, sono incapaci di vivere gli uni per gli altri. I colleghi di lavoro sono più spesso vissuti come rivali nella “corsa alla carriera”, piuttosto che fratelli con cui condividere la quotidianità lavorativa. Gli anziani, ormai considerati “socialmente ed economicamente inutili”, muoiono, spesso, sempre più soli ed abbandonati.
Nella Genesi, Dio interviene in questa solitudine dell’uomo, ponendogli prima accanto gli animali, ma poi fornendogli qualcuno che sia alla sua stessa altezza. Dio propone all’uomo la donna come alleata: uguale per dignità, profondamente differente “sotto ogni punto di vista”. Questo invita ad andare oltre alla mera complementarietà, che rischia di fornire una visione unicamente utilitaristica del rapporto tra i due. Più adeguatamente, è forse il caso di affrontarne la relazione come reciprocità: una dualità di due universi distinti che, nel dialogo costante, diventa in grado di arricchirsi reciprocamente, ampliando, nella loro unione, le possibilità di entrambi.
«Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna» (Gen 2,25). C’è una nudità che è ostentazione e vanità, spesso unicamente corporea. C’è una nudità che è più profonda, che non fa provare vergogna, solo quando si è immersi nella reciproca fiducia.
Fanno riflettere alcuni fatti di cronaca attuali, che si ripetono ormai con frequenza allucinante, pur essendo impossibile sia farne l’abitudine sia illudersi che cambiando i protagonisti non mutino anche motivazioni di fondo, rivalse, giustificazioni, corollario psicologico allegato. Ragazzini, sempre più giovani, coinvolti in episodi sessuali di gruppo, stupri, sempre più spesso ripresi e poi messi alla berlina, in un voyeurismo becero che provoca il paradosso della vergogna nelle vittime e dell’orgoglio tronfio degli assalitori. Se il secondo non è, in realtà, così particolarmente causa di stupore (l’istinto sessuale, se non sottoposto al controllo della ragione, è innanzitutto, predatorio, così come lo sono tutti gli altri istinti, se del tutto incontrollati), è il primo a costituire qualcosa di insolito, almeno in apparenza. Viviamo in una società del “vietato vietare”, dove tutto sembra lecito e possibile, purché attuabile. Eppure, ancora oggi, infangare la reputazione di una ragazza può portare quest’ultima al suicidio «per la vergogna». Tralascio il dettaglio (fondamentale, in verità) che la mancanza del consenso che trasforma l’atto sessuale in un incubo per chi non lo sceglie, bensì lo subisce: il fatto che, in ogni caso, persino quando vi sia il consenso, la pubblicazione delle immagini che ritraggono atteggiamenti sessuali mette in imbarazzo la ragazza protagonista è significativo. Essere nudi non è per chiunque. Essere nudi, simbolicamente, riporta al contempo all’infanzia e all’età adulta. È scelta, consapevole, di essere fragili di fronte a qualcuno, nella convinzione che non ci farà del male, è spogliarsi delle maschere sociali che indossiamo per convenzione. Essere nudi è fidarsi dell’altro. Ecco perché quando ciò che è intimo diventa pubblico è già avvenuta una frattura, pressoché insanabile, nel contratto fiduciario intrinsecamente stipulato.
«Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma» (Mc 10, 5), risponde Gesù, rispetto alla norma mosaica che consentiva, in alcuni casi, il divorzio. Al riguardo, Cristo è molto chiaro, tanto che è difficile che la Chiesa possa esprimersi in modo diverso. Probabilmente, si può intuire come, in un mondo sostanzialmente dominato dagli uomini, queste parole rappresentassero una strenua difesa della donna che, a quel tempo, poteva, invece, essere ripudiata per quelli che, al giorno d’oggi chiameremmo “futili motivi”.
Il Maestro ci invita a cambiare il nostro sguardo sull’altro, incamminandoci verso la riscoperta di un’alleanza tra uomo e donna, nella reciprocità (svuotata da quel vuoto desiderio d’emulazione che rischia, invece, di annullare le arricchenti differenze), affinché essa, in ogni famiglia, così come nella Chiesa, possa diventare l’aiuto nel cammino verso la santità.
Rif: letture festive ambrosiane della III domenica dopo Pentecoste, anno B
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