«Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui» (Es 34,30): incontrare Dio, se l’incontro è reale, cambia qualcosa in noi. In Mosé, cambiava persino il colore del volto, che diventava splendente. Tuttavia, la fragilità umana pone una fine a questo cambiamento: com’è vero per i nostri propositi, sempre splendidi non appena siamo di fronte a Dio, oppure di fronte a un pericolo, ma, ben presto tiepidi ed inconcludenti una volta usciti di chiesa, oppure una volta che il pericolo che ci tiene soggiogati alla paura è terminato.
«Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,14-18).
In Gesù, ci è promessa una libertà che ci rende partecipi della gloria dello Spirito, che è eterno. Una libertà che va oltre ogni costrizione, ogni limite, ogni dolore, ogni sofferenza. Quando ci scopriamo figli, amati da Dio, per come siamo, comprendiamo che non c’è bisogno di nascondere la povertà del nostro splendore, ma, piuttosto che, quando la avvertiamo, dobbiamo ad abbeverarci alla Fonte: perché – è Gesù stesso che lo attesta – «senza di Lui non possiamo fare nulla». È solo stringendoci a Lui che la nostra fatica acquista senso e significato e non “brilliamo” più solo per vanagloria, ma per edificazione reciproca, puntando assieme alla santità.
Il brano evangelico di oggi, ci pone di fronte al Cieco Nato, un testo sempre ricco di fascino e di spunti di meditazione, che richiama anch’esso alla tematica della luce.
In questa congiuntura particolare, come non pensare che, spesso, ci comportiamo come i discepoli? Vuoi superstizione, vuoi paura, vuoi confusione (troviamo il coraggio di chiamare ogni cosa con il proprio nome: è il primo passo per affrontare i problemi), quante volte abbiamo irriso, sottovalutato, emarginato il popolo cinese? Quante volte ci siamo disinteressati dei suoi problemi, salvo avvantaggiarcene, per i nostri fini (penso ad esempio, quanti prodotti non conformi, spesso risultati di vere e proprie forme di schiavitù, abbiamo comprato volentieri, perché ci consentivano di risparmiare)? Quanti fatti violenti, addirittura, si sono letti sui quotidiani, quale reazione contro persone cinesi, che avevano l’unica colpa di avere lineamenti asiatici?
Ora che anche i Paesi confinanti, presi dalla paura, arrivano addirittura ad intercettare gli ordini diretti verso l’Italia, l’aiuto arriva proprio da loro, dai cinesi che, ora, stanno smantellando i loro ospedali. E, con il materiale medico, ci inviano anche la loro speranza: nutritevi di pazienza, ci vuole pazienza, ma tutto ciò che è legato alla natura, ha sempre una fine.
Piuttosto, è solo l’amore a non aver fine, come sottolinea san Paolo:
«Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora, dunque, rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (1Cor 13, 12-13)
Ci voleva un virus per farci sentire fratelli. E, senza muovermi da Milano, rivedere questo video mi ha fatto pensare su come, spesso, sono i poveri ad evangelizzarci, mentre i più ricchi, privati delle ricchezze a cui avevano affidato tutte le proprie certezze, brancolano nella paura:
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Vedo ovunque, anche sui social, riscoprire la letteratura. Mi è tornato alla mente un dialogo tra Gandalf e Frodo, che potrebbe contribuire ad incoraggiarci e ad avere una giusta visione sulla cose, senza abbandonarci né ad allarmismi, né a menefreghismi, ma spalancando mente e cuore sulla realtà:
Frodo: Vorrei che l’Anello non fosse mai venuto da me. Vorrei che non fosse accaduto nulla.
Gandalf: Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere; possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso.
Tanti, soprattutto fra i ragazzi, sperano esattamente questo: si augurano di tornare “come prima”. Molti (persino chi ha sempre pronunciato con solennità il proprio odio) sono arrivati a rimpiangere la possibilità di andare a scuola e vedere dal vivo i propri compagni. Ciò, però, non è possibile. Quando ormai sei dentro, non puoi più fuggire. Puoi solo scegliere se vivere il tempo che ti è dato, oppure subirlo supinamente. Possiamo scegliere come affrontare questa situazione. Tutto dipende dal nostro sguardo. Potremmo viverla con egoismo, pensando solo a noi stessi. Possiamo, però, anche trasformare un’occasione di emergenza e di crisi, in motivo per aprire gli occhi sulla realtà, essere più attenti ai vicini di casa, alle loro esigenze, renderci disponibili per gli anziani che hanno bisogno. E, magari, pensare che quello che viviamo ora, in molti paesi africani è quotidianità: dall’incertezza sul domani, al dubbio di non trovare qualcuno che ti curi, al non sapere quali beni saranno disponibili nei negozi.
Non eravamo preparati. Forse, nessuno poteva esserlo. Ma non sprechiamo un’altra occasione. Facciamo tesoro di tutte le difficoltà, piccole e grandi, che ciascuno sta sperimentando ora, affinché potremo farne più facilmente memoria, quando, una volta usciti, correremo il rischio di pensare solo a noi stessi.
Rif: letture festive ambrosiane, nella quarta domenica di Quaresima (Es 34,27 -35,1; 2Cor 3, 7-18; Gv 9, 1-38)
Fonte immagine: Fidhouse.com