tortelli

E’ quasi ora di pranzo quando squilla il telefono della centrale operativa dei Vigili del Fuoco: sono passate pochissime ore dal terremoto. La questione è d’importanza capitale: si parla di tortellini. Non sono, dunque, le tagliatelle di nonna-Pina: non siamo nemmeno in uno di quei tanti show-televisivi nei quali ci si sfida, a colpi di mattarello e scoppiettio di soffritti, nel proporre la ricetta più appetitosa. Lo scenario, stavolta, ha la poesia di un set cinematografico: per telefono la pasta di Bologna vuol a tutti i costi mescolarsi alla polvere di Ascoli. Tortellini e macerie, dunque: buon pranzo! A telefonare è un’anziana signora di Bologna. A risponderle è uno dei Vigili del Fuoco: «Pronto, vigili del fuoco? Io ho 70 anni, non è che possa fare molto: ma vi sono talmente vicina per quello che state facendo laggiù… Guardi, ho appena messo su il brodo, avevo anche dei tortellini, se potessi fare avere questa pentola ai vigili del fuoco lo farei così volentieri, purtroppo sono qui a Gaggio Montano e non posso venire».
A Bologna i tortellini sono affare-sacro del palato, quasi diretti rivali della pasta all’amatriciana nata dove oggi s’ergono cumuli di macerie. Per una volta, però, le ricette diventano solidarietà, quella che prevede ingredienti semplici ma sostanziosi. Giunge inaspettata da un paese lontano che la geografia-del-cuore, l’altro nome della carità cristiana, ha provveduto a collocare, nel breve attimo di una telefonata, accanto a chi aveva fame, più di speranza che di cibo. Un gesto piccolissimo, sin quasi banale, ma che in un momento d’irriverente angoscia ha annunciato, seppur senza volerlo affatto fare, l’urgenza di far diventare virale la bellezza del donare, la forza del compatirsi, la potenza dell’amare servendosi d’un piatto di tortellini. E’ l’amore ai tempi del terremoto: ha la faccia di una nonna premurosa e indaffarata e la sostanza di un cuore di carne avvolto in un abbraccio di pasta soffice. La faccia e la sostanza di quella forma che don Giovanni d’Ercole, vescovo di una delle due diocesi martoriate dal sisma, ha sommessamente proclamato in questi giorni di lutto dell’anima: «Il cristianesimo è un abbraccio, e in questo momento ogni abbraccio vale più di una predica».
Un piatto di tortellini non cancella nessun indice di dolore: nemmeno la fede esime dal porsi tutte le domande che assillano l’animo dell’umano. Aiuta, però, a sentirsi meno soli, a sapersi figli di donne che, sotto le macerie, si fanno immagini della premura familiare di Dio, anche della sua tenerezza: «Chissà se avranno mangiato da ieri alle tre e mezza! – continua la signora al telefono – Come facciamo a star qui a mangiare due tortellini quando loro non riescono neanche a mangiare? Quei tortellini mi andranno di traverso, vorrei che fossero per voi». Sempre così le madri, nella sala d’attesa di un ospedale, al fornello della cucina di casa, sopra le macerie: siccome i loro ventri avvertono prima i passi del dolore, si fan trovare sul posto-di-battaglia con le mani rimboccate e una tavola apparecchiata. Far da mangiare è per loro una questione d’amore.
Dall’altra parte del telefono, la risposta è tutt’altro che annoiata. C’è dello stupore registrato nella voce del Vigile del Fuoco che alza la cornetta: «Signora, questa è una delle più belle telefonate che abbiamo ricevuto, queste sono le cose che ci fanno andare avanti». L’Italia è un paese straordinario dalla spina dorsale fragile, fors’anche malaticcia. Friabili sono le città, fragile la speranza, frangibile il futuro: certe sere, come questa, l’Italia è una donna tutta curva nel suo dolore. A rimetterla in piedi non saranno l’arte antisismica, le variabili del PIL, le cantilene lente delle frasi di circostanza. Per chi è smunto dal dolore, fin quasi ad essere rimasto senza forze, un piatto di tortellini val più di mille parole scarabocchiate sulla sabbia. Sono il volto bello dell’amor cortese: quello che, in punto di morte, sa sbalordire col linguaggio della gratitudine bambina. E’ poco più di nulla: eppure, per chi sta tra la vita e la morte, quei tortellini sono un ricordo, un conforto. Un grazie nobile a chi, angelo di passaggio come i Vigili del Fuoco, vuol strappare alle fauci del male anche il più piccolo battito di vita.

(da Il Sussidiario, 29 agosto 2016)

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