portaE’ l’ora della sera. Del rintocco della campana, della tavola apparecchiata, delle luci soffuse dietro il vetro, delle cose intime: ogni casa, calato il sole, si chiude e racchiude nel suo amore. L’ora «che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core» (D. Alighieri): il tempo dell’addio, della nostalgia, degli affetti. Il tempo della sera, quello che tiene compagnia ai poeti e agli illetterati: «l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine», ha suggerito Papa Francesco aprendo il Sinodo sulla Famiglia. Un’immagine la cui struggente bellezza è grembo del mistero che accomuna tutti gli uomini: rimanere da soli moltiplica la paura. Anche la Trinità del popolo di Cristo, tra mille possibilità diverse a sua disposizione, scelse di stare in compagnia.

Di farsi l’un l’altro compagnia: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Non è la luce spenta quando rincasa a spaventare e rattristare l’uomo, ma il sapere – o il semplice sospettare – che non ci sarà nessuno ad aspettarti. A spartire assieme con te la dolce legge dell’amore e degli affetti. Del silenzio.
Francesco prende per mano la sua sposa, la Chiesa, e le propone l’intimità di un viaggio, di uno spazio d’attesa e di riflessione, di un sinodo: un’occasione per guardarsi negli occhi, per parlarsi a cuore aperto, per re-innamorarsi a vicenda snocciolando la genealogia della loro storia d’amore. Per rivangarsi il luogo in cui ci si è dati appuntamento la prima volta. Che, poi, è come un prestarsi l’orecchio a vicenda per ascoltare assieme «i battiti di questo tempo». Per accogliere i passi stanchi e affannati – magari incerti, sonnolenti, rassegnati – di chi, quando cala la sera, avverte forte il bisogno di una casa, di una porta aperta, di un pane da mangiare assieme. Quel Pane che è cum-panis, cioè cagione di compagnia. Quella simpatica combriccola che ti rammenta d’essere ancora dentro una grande storia che magari non ricordavi nemmeno più. Di una storia alla quale appartieni e dentro la quale c’è uno sgabello sempre a disposizione: dopo mille cadute, in calce a mille imbrogli, inzuppato di polveri di strade fallite. Di relazioni spezzate, inconcludenti, imbarazzanti: c’è un odore, il tuo, che dentro quella casa diventa un profumo. Inconfondibile perché vero.
Eccola l’ora nella quale questo vecchio Papa ha dato appuntamento alla sua Chiesa. Un’ora che è anche un invito: quello di scambiarsi uno sguardo, di fissarsi negli occhi, di lasciarsi sorprendere da quell’amore che pensavamo perduto per sempre. E’ la sera dei Vangeli, quella capace di farti trovare sulla porta di casa il brogliaccio di una storia a tua disposizione quando sembrava non esserci più nessuna storia da raccontare: la sera di Betlemme e di Naim, di Gerico e di Sicar, di Gerusalemme e del Golgota. La sera del Sabato Santo: quella silenziosa, opprimente, apportatrice di vecchie nostalgie. La sera che fu il preludio di un mattino inimmaginabile: quello di una Sorpresa diventata storia. La mia storia. Per non disperare: «c’è tanta gente senza speranza». Che la sera, quando s’addormenta, qualche volta trema e gli riesce più di sognare.
E’ di sera che chi tiene arte e inventiva dà forma e lineamento alla sua fantasia. Anche nei Vangeli è di sera che ripartono gli amori, giusto nell’attimo in cui sembravano perduti per sempre. Compromessi fino all’osso. Sono le sere in cui aprire la porta di casa è come accendere una lanterna in mezzo alla steppa: è un ricordo di casa, è una nostalgia d’appartenere ancora a qualcuno, è rammendare dei viaggi andati a vuoto. E’ riparare storie delle quali nessuno sembra più prendersi cura. E’ l’ora di Cristo, il Dio delle sorprese: quello capace di far assaporare istanti di Cielo per rievocare ad amanti smemorati che ogni storia d’amore parte da un incontro. Da una porta che si è trovata aperta.

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