E’ la più grande sfilata d’alta moda dell’intera stagione: tutte le altre, al suo cospetto, impallidiscono come foglie d’autunno. Ad idearle sono dei geni della sartoria, dello charme: da Cristian Dior a Valentino, passando per Gucci e Prada, senza dimenticare Laura Biagiotti, Dsquared e Diesel. Avete mai pensato a che cosa succede quando si sta seduti ad osservare delle modelle/modelli che sfilano nelle passerelle? Fanno indossare loro il top della gamma, con quel tocco di provocazione che rende il tutto ancor più appetibile agli occhi di chi osserva. Eppure, a ben pensarci, non c’è nessuno, poi, che giri per le strade di città vestito/svestito come i modelli/e quando sfilano: qualche tratto ne evoca i contorni, qualche accenno ne riprende l’ispirazione, c’è l’eco di un qualcosa di già visto. E’ inutile, allora, una sfilata di moda come quella che s’accende nella scalinata di Trinità dei Monti? Assolutamente, “meno male che c’è lei”, verrebbe da dire di getto. Le sfilate sono necessarie, se non ci fossero calerebbe la qualità dell’intero vestiario. Succede, però, che in ogni abito visto alle sfilate, un sarto – anche quello titolare della più piccola sartoria di paese – prenda spunto per una sua creazione, si porti a casa quelle immagini meditandole nella sua immaginazione. Per poi rielaborarle con la fantasia. In sarto se ne torna a casa provocato a continuare la sua ricerca verso il meglio.
Che cos’è la solennità di tutti i santi (1 novembre) se non l’annuale “sfilata di moda” che il Cielo organizza, facendo passeggiare dentro la bellezza della liturgia le storie di uomini e donne che ce l’hanno fatta a diventare dei top? Dopo le feste che parlano di Lui e di Lei, è la solennità più festosa di tutto l’anno liturgico (liturgia della Solennità di tutti i Santi). Quasi una sorta di appuntamento annuale per vedere il massimo dell’umanità, colta nell’attimo esatto nel quale si è lasciata modellare dal Cielo. E’ chiarissimo, sin quasi fluorescente nella sua colorazione: pochissimi, chi scrive non è tra questi, riusciranno a vivere come hanno vissuto quegli uomini e quelle donne che la Chiesa ha proclamato santi. Tantissimi, e chi scrive è tra questi, pregando le loro storie, potranno trovare spunto per migliorarsi come uomini e, quindi, avvicinarsi sempre di più all’impresa di scalare la vetta della santità. Nessun santo, ricordiamocelo ogni mattina, è nato mai santo. C’è di più: se a coloro che oggi la Chiesa prega come santi andassimo a chiedere “tu , da bambino, pensavi di diventare santo?”, penso che la sua risposta sarebbe una colossale risata, forse anche una risposta a dir poco imbarazzante. Nessuno di loro, quand’era in vita, pensava anche solo lontanamente di diventare famoso nelle logiche del Cielo: qualcuno di loro, c’è da crederci leggendo qualche biografia, ha fatto di tutto per non diventarlo o, per lo meno, per complicare tremendamente il lavoro della Grazia. Perchè, allora, sono riusciti a diventare santi? Forse perché, pur non sentendosi affatto tali, non hanno precluso del tutto la possibilità di diventarlo: hanno lasciato aperta una porta alle variabili del Cielo. Santi, dunque speciali, per il semplice fatto che non importava loro nulla d’esserlo. Di diventarlo un giorno.
C’è ancora qualcuno che confonde il primo-novembre con la festa-dei-morti: c’è del masochistico in un certo cristianesimo di circostanza. Lo stesso di coloro che, pace all’anima loro, hanno deciso di sequestrare i santi – gente che ha fatto della strada il loro salotto – dentro le teche dei capitelli, murati vivi sopra gli altari, imbrigliati nei santini da baciare. Quando loro, se solo potessero senza apparire scortesi, salterebbero fuori da tutte le parti. C’è anche una ragione, però, in questa confusione santi-morti: si può anche morire d’invidia ascoltando queste storie, impossibili per gli uomini ma possibili per Dio. In questo senso la santità è la festa-dei-morti per il Diavolo e i suoi fratellini. Per me rimane l’occasione di gustarmi l’intera sfilata di moda del Cielo: non c’è estasi migliore di contemplare la bellezza sbocciare dentro gli stracci di storie che, quaggiù, sembrano poco più di niente. Poco meno delle nostre.