Dio, che si definisce Colui che È, si dimostra capace di amore che precede ogni possibilità di ricambio. Tuttavia, chiede anche una fede esclusiva, tanto da definirsi “un Dio geloso”, in quanto non sopporta di essere accomunato, od affiancato, ad altri dei, com’era, invece, abitudine presso le religioni politeiste. È sulla base di questa parola affidabile nel tempo – “una parola che non torna indietro” (Is 45, 23) – che Dio chiede ad Israele la fedeltà al monoteismo, costruendo su quest’alleanza una storia d’amore, piena di alti e bassi, ma che vede nella fedeltà ad una Parola data millenni fa il motivo di una fede che si perpetua di padre in figlio.
La “primogenitura” d’Israele, elezione da cui Dio non può tornare indietro, appunto perché latore di una Parola eterna, è stata da sempre motivo di “secondogenitura”, quindi, in un certo senso, di discriminazione, per tutti gli altri.
Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo (Ef 2,13): sottolinea l’Apostolo, che, pure, era giudeo e, quindi, detentore della primogenitura e della circoncisione, quale lasciapassare per la fede. Sicuramente, è possibile rileggere la parola che troviamo nel Vangelo anche secondo quest’ottica: l’amore di Dio non è questione di meriti, ma, innanzitutto di grazia; per questo, non può essere tramandato di padre in figlio, ma, in Cristo, chiunque crede in Lui, può ritrovare la strada di casa, verso il Padre, in attesa del suo ritorno.
Il Vangelo, infatti, ci presenta un testo che offre, forse, la più grande ingiustizia sindacale promossa da Gesù: la parabola dei lavoratori della vigna, in cui alcuni lavoratori sono presi a giornata e coloro che lavorano un’ora soltanto ricevono lo stesso compenso di quelli che lavorano dalle prime ore del mattino ed hanno sopportato la stanchezza e la calura della giornata.
Qualcuno interpreta lo stesso guadagno quale “compenso” per il non avere ricevuto lavoro in tutta la giornata e per avere assaporato l’incertezza sul domani, l’inquietudine e la precarietà. In realtà, tutto ciò non è garantito: il terzo gruppo potrebbe anche essere stato, semplicemente, una rappresentativa di “fannulloni” che ha preferito dormire fino a tardi, ben sapendo che è al mattino presto che si vanno a cercare i lavoranti a giornata e si sia recato in piazza nel tardo pomeriggio giusto per “lavarsene le mani” illudendosi con se stessi di aver fatto il possibile.
Nell’incertezza di stabilire chi componessi i vari gruppi, preferisco soffermarmi proprio sulle parole del padrone della vigna. Egli, coi primi, accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna (Mt 20,2). Al secondo gruppo, dice invece: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò” (Mt 20, 4). Con l’ultimo gruppo, è, poi, ancora più sbrigativo: sembra sia addirittura infastidito che questi, fino al suo arrivo, siano rimasti oziosi e, premendogli che anche loro si guadagnino il pane quotidiano, li esorta, senza troppi fronzoli: “Andate anche voi nella mia vigna” (Mt 20,7).
In sostanza, innanzitutto, rileggendo con attenzione le parole ed i gesti del padrone, notiamo che a nessuno ha mentito, né ha fatto promesse non mantenute e che l’illusione del primo gruppo di ricevere di più è stata gratuita (nutrita, cioè, da un criterio di proporzionalità, che, però non è mai stato loro proposto). Inoltre, con ciascuno dei gruppi, ha concluso, potremmo dire così, una trattativa differente, che non possiede alcun legame con alcuna delle altre e di cui chi non era presente non poteva essere al corrente; eppure, ciascuno dei presenti aveva concordato rispetto alle clausole, prima di mettersi all’opera. Ecco quindi che, ricollegandoci alla prima lettura, questa parabola che, sotto sotto, ci puzza sempre un po’ d’ingiustizia, ci certifica, piuttosto la verità di una Parola “che non torna indietro”, di una Parola, quindi affidabile, a cui potersi aggrappare e sulla quale è possibile costruire la propria vita. Infine, se c’è una cosa che va in crescendo, nella Parabola (e che, a mio avviso, diventa spiegazione di quella che, ai nostri occhi, rimane un’ingiustizia) è la fede; se coi primi, infatti, c’è un accordo economico, coi secondi c’è un richiamo alla fiducia in una giusta ricompensa mentre, con l’ultimo gruppo, la fiducia è direttamente in Chi chiama, dal momento che quest’ultimo, troppo interessato a mettere al lavoro chi ha chiamato per ultimo prima che la giornata finisca, non pensa di parlamentare con loro una ricompensa.
Questa parabola è sempre compromettente, dal momento che ci chiama a verificare il nostro rapporto con Dio e coi fratelli. Troppe volte, in entrambi i casi, tendiamo a diventare contabili, spesso per auto-assolverci, con grande generosità, mentre la mannaia della condanna si abbatte sugli altri. Sono tanti i motivi per cui il sacramento non è deputato unicamente al fedele e al suo rapporto con Dio. Tra questi, forse non sono secondari due: perché impariamo a guardare a noi stessi ed alle nostre relazioni in modo più oggettivo, evitando il rischio di assolverci con troppa facilità e perché provare a fidarci gli uni degli altri, confidando che, se siamo insieme su questa terra, possiamo aiutarci nella costruzione del Regno di Dio, se non siamo troppo impegnati nella gara per emergere sugli altri.
(Rif: letture festive ambrosiane nella VI Domenica dopo il Martirio di San Giovanni Battista)
Fonte immagine: YouWineMagazine