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Francesco d’Assisi se lo immaginò così a lungo da volerlo ricreare sotto gli occhi per gustarlo in diretta: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato» disse a Giovanni, un signore che abitava nei pressi di Greccio. La notte di Natale del 1223 giunsero in tantissimi a vedere il presepe: il sogno di Francesco – che gli uomini vedessero quanto Dio si era avvicinato loro – divenne un segno per tutto il mondo. «La gente accorsa – si legge nelle Fonti Francescane – manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale». A Greccio non c’erano statuine quella notte: il presepe si fece con quanti erano presenti: il primi d’infiniti presepi viventi che, d’allora, illumineranno i giorni di Natale, aiutando l’uomo ad immaginarsi dentro questa storia così strana d’essere santa.
A Codiverno di Vigonza (PD) da ventidue anni migliaia di persone si fanno pellegrine per assaporare la magia artistica di uno dei presepi viventi più belli di tutto il Veneto. Un’avvincente pagina di evangelizzazione dove alla noia di certe lezioni di catechismo, più o meno ortodosso, si antepone il diritto allo stupore: la magia fiabesca di vecchi mestieri andati in disuso, la ricostruzione delle pagine del Vangelo, la cucitura di fatti antichi con quelli attuali offrono al visitatore l’evidenza che quella di Cristo è una storia strana. E’ accaduta la prima volta due millenni fa, ma è pronta a riaccadere ogni qual volta l’uomo vorrà sentire Dio così vicino a sé da poterlo persino toccare. E’ la vita e la fede di una intera comunità quella che, mostrandosi, si nasconde dietro le somiglianze degli oltre duecento figuranti del presepe. Un’opera d’ingegno, un miracolo di gratuità, una certezza, che è quella che scatena l’arte: evangelizzare non consiste nel dare a qualcuno qualcosa che non ha, ma permettergli di risvegliarlo grazie a te. E’ la magia di questo presepio vivente, d’innumerevoli altri: sentirsi parte d’una storia viva, in movimento, capace di accadere dentro la vita confusa e quella ordinata, tra le mura di gente educata e di bestemmiatori da bar, d’immaginarsi la grotta vicino ad una sede di Equitalia, il tempio davanti alla sala scommesse, la stella cometa che gareggia con le stelle cadenti. Più che una mancanza di rispetto è il massimo della riverenza: Dio-con-noi, esattamente in mezzo ai nostri disordini.
Costruirlo – a sentire chi ci mette tempo, passione e notti di lavoro – non è mai un’avventura facile: s’inizia svogliati, forse un pizzico abituati, magari anche assuefatti all’incanto. Poi, mentre il presepe prende forma, la fiacchezza muta in sorpresa, gli animi si rinfrancano: ancora una volta a stupire è che Dio nasca al nostro paese. C’è gente viva che scrive già la sua autobiografia: è convinta di aver compiuto qualcosa di così grande d’apparire utile ad altri. C’è gente che, guardandosi allo specchio, non trova nulla d’immenso nella sua vita, tutta piena di diavolerie e bassezze: non ha nessuna voglia di narrare la sua storia. Eppure è questa la più bella: che in mezzo alla miseria compaia il filo rosso di un Bambino mai stanco di riprovarci. A disposizione dei primi ci sono le classifiche di vendita: più in alto si sta meglio si alloggia. Per i secondi esistono i presepi-viventi: c’è un posto per te qui. “Entra pure: sentiti come se fossi a casa tua!”
E anche Codiverno, a Natale, sente d’essersi gemellato con Betlemme.

(da Il Mattino di Padova, 5 gennaio 2020)

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