La quarta domenica di Quaresima, nel rito ambrosiano, è ricordata come “Domenica del Cieco”, in quanto il protagonista del Vangelo (mentre le letture variano seguendo un ciclo triennale) è sempre un uomo, cieco dalla nascita.
Le mormorazioni del popolo
Il deserto è arido. Quando anche la gola si secca allo stesso, l’arsura si fa sentire e il desiderio si fa impellente. Quando si tratta di una carovana nel deserto, con una scarsa scorta di cibo ed acqua, guidata da un pastore di greggi balbuziente, le mormorazioni sono dietro l’angolo. Quante volte, nel deserto, il popolo si lamenta? Molte, pensando alla pentola della carne e delle cipolle[1] o lamentandosi di non avere carne da mangiare[2], quando arriva la manna, giusto per citare un paio di occasioni. L’episodio della richiesta d’acqua, riportato in Es 17, a Massa e Meriba è quasi paradigmatico, tanto è vero che è stato ripreso in altri passi biblici[3], proprio per indicare l’abitudine del popolo alla mormorazione. Inutile dire Dio non dimentica il suo molesto e offre il proprio soccorso alla sua sete, per mano del bastone di Mosè, con cui quest’ultimo, percuotendo la roccia, ottiene acqua potabile.
La stanchezza di Mosè
A seguito di questo episodio, la narrazione prosegue con la battaglia che contrappone Israele agli Amaleciti. Mosè è ormai anziano e, dal racconto, non pare che prenda parte al combattimento in mezzo al popolo, al contrario di Giosuè (che prenderà il suo posto, quando questi morirà). Tuttavia, il suo ruolo non è affatto marginale: mentre gli Israeliti combattono, lui, dalle retrovie, alza le braccia in preghiera. Si rivela ben più di una pia pratica. Dalle resistenza delle sue braccia dipende l’esito dello scontro. Non appena la stanchezza si fa sentire, le sorti della battaglia mutano, a sfavore degli Israeliti. Un’immagine potente, a rendere visibile la forza della preghiera, anche alla nostra poca fede. Sì, anche la preghiera può fare la differenza: non è solo un esercizio contemplativo, eventualmente in grado di spingerci ad un miglioramento etico individuale. È – anche – nel rapporto con gli altri che si gioca il nostro rapporto con Dio
L’illuminazione della fede
Anche il brano evangelico è dedicato alla fede. L’episodio del cieco nato era particolarmente rilevante soprattutto in età antica e rivestiva un ruolo particolare, soprattutto, in relazione al Battesimo, considerato un’illuminazione di origine divina. Entrare nella Chiesa, corpo di Cristo, tramite il Battesimo, equivaleva ad un cambiamento radicale. Non tutti i mestieri lo consentivano, anzitutto e tale ingresso richiedeva uno sguardo diverso sulla realtà, che comportava anche scelte diverse rispetto al passato. Essere cristiani comportava un’innovazione così radicale, che il Battesimo significava l’inizio di una nuova vita. Considerando, poi, il fatto che, inizialmente, il Battesimo era amministrato agli adulti, ciò significava, spesso, anche la scelta di un altro nome, compiuta, stavolta, dall’individuo stesso. Un dettaglio che dice il grado di consapevolezza di questa scelta e delle sue conseguenze, anche quotidiane, nella vita del singolo.
La luce, dal Principio
Il tema della luce è particolarmente caro, all’Evangelista, che ne parla, diffusamente, a partire dal notissimo Prologo:
«La luce brilla nella tenebra e la tenebra non l’ha sopraffatta. (…) Quanti l’accolsero, diede loro il potere di diventare figli di Dio » (Gv 1, 5.12)
La luce è fondamentale alla vita, non è solo un dettaglio accessorio, ma è – al contrario – assolutamente imprescindibile: basti pensare al fatto che, negli abissi più profondi degli oceani, è proprio la sua mancanza ad impedire lo sviluppo di qualsiasi forma vivente. Al contempo, però, è proprio la tenebra a mostrare, più apertamente, la necessità della luce. In pieno sole, non ci accorgiamo neppure di averne bisogno. È il languore della mancanza a mostrarci la necessità della luce, nella nostra vita.
Un cieco, intralcio alla strada
Una presenza ingombrante. Al di là della sua effettiva mole fisica, la sua sola presenza costituisce un intralcio al cammino del credente. Per quanto cerchi di posizionarsi sul lato della strada, nel punto in cui meno intralci il cammino, la sua sola presenza avvia le più scomode domande sulla fede. Perché il dolore e la sofferenza? Perché qualcuno nasce “sbagliato”? È Dio che “sbaglia”? Un uomo, che sia cieco dalla nascita, lascia emergenza la tristezza della sua condizione: dipende dalla bontà altrui, è esposto a truffa ed inganno, necessita di essere guidato nei movimenti e negli spostamenti, spesso è costretto a vivere di elemosina e mendicità. Facile pensare quindi che si tratti di una condizione “maledetta”.
Le opere di Dio
Cristo, però, invita ad elevare lo sguardo. Sganciarlo da una logica di giustizia retributiva, per cui ogni male diventa direttamente spiegabile tramite il peccato compiuto dall’uomo (la cecità, in particolare, era in genere messa in relazione con l’idolatria, peccato punibile di padre in figlio, per posare di lui uno sguardo nuovo, escatologico, che annuncia il manifestarsi delle “opere di Dio”. La domanda che si rincorre è, poi, se il riferimento si limiti a lui in particolare, oppure, se non sia un’estensione indebita rivolgere questo stesso sguardo a chiunque, ancora oggi, mostri, nelle sue piaghe, interiori od esteriori non il segno di uno stigma, bensì l’opportunità possibile di farsi prossimo.
Una nuova creazione
Gesù, con fango e saliva, tocca l’occhio al cieco, richiamando alla memoria l’atto del divino plasmare[4] dei primordi della creazione umana, in cui il muoversi della sua mano sapiente diventa immagine del vasaio, che, con moto lento, continuo, consapevole, al tornio crea i manufatti che, tra le mani dell’uomo, semplificano il suo lavoro quotidiano[5].
Non basta, però, l’impasto di fango e saliva, a richiamare una creazione nuova. Segue un invito, quello di andare a lavarsi. Alla piscina di Siloe e non nel Giordano, come Naaman il Siro[6], che, dopo qualche titubanza, seguendo l’ordine del profeta Eliseo, guarisce dalla lebbra.
Genitori pavidi o inizio dell’autonomia?
La guarigione non pone affatto fine ai problemi di quell’uomo; anzi, per certi versi, si può dire che li aumenta. Vedere un uomo cieco dalla nascita guarito destabilizza chi lo aveva conosciuto in precedenza. Interrogati, i genitori fanno un passo indietro: “Ha l’età, chiedetelo a lui”. Non ne prendono le difese. Forse, per la prima volta nella vita. Ed è un bene per lui. È come uscire per la prima volta dalla tutela genitoriale, nonostante fosse adulto già da tempo. È una situazione frequente: quando hai una disabilità, spesso, i genitori tendono a proteggerti dal mondo esterno. Sembra tutto troppo difficile per quel figlio fragile. Eppure, prima o poi, tocca a tutti affrontare il mondo… e questa può diventare la prima occasione sulla strada dell’autonomia.
Primo problema d’identità: falso invalido?
Questo è – in fondo – il problema che segue la sua guarigione: o menti adesso o mentivi prima. Un cieco nato non può guarire. O non sei mai stato cieco e ci hai ingannato per anni, oppure a mendicare c’era un’altra persona, non questo che dice di essere guarito. Se dalla cecità congenita è impossibile la guarigione, l’unica è che non sia guarito. O è un impostore lui, oppure lo è il guaritore.
Secondo problema d’identità: profeta o peccatore?
In breve, il problema d’identità si sposta dal cieco al misterioso guaritore, che l’uomo non ha potuto – ovviamente – osservare e che, conseguentemente, non è in grado di riconoscere. Due le opzioni: un ciarlatano in cerca di notorietà, oppure un profeta. Tertium non datur. Almeno, a quel punto della storia. Un peccatore, è evidente, perché non rispetta il sabato. In più, bestemmia: si definisce figlio di Dio – che coraggio! Ma chi si crede d’essere? –. Il guarito però instilla un dubbio: non si è mai sentito di qualcuno che guarisca un cieco nato. Al massimo, si è parlato di un angelo che guarisse un uomo diventato cieco[7], ma non dalla nascita: un cieco nato, era novità assoluta. Se non era profeta, come altro definirlo?
La sovrapposizione dei piani
I genitori non parlano per le minacce provenienti dai Giudei di espulsione dalla sinagoga. Si evince che Gesù sia, ormai un “sorvegliato speciale”, tenuto sotto stretto controllo dalle autorità civili e religiose locali, per la pericolosità delle sue parole capaci di infiammare il popolo. Difficile verificare che potesse esserci una strategia così accuratamente pianificata, già ai tempi di Gesù. Più facile pensare, piuttosto, che sia stata trasposta, ai tempi di Cristo, la persecuzione, da parte dei capi religiosi giudaici, di cui furono vittime i cristiani di età apostolica.
L’illuminazione della fede
«Credo, Signore!» (Gv 9, 38)
È questo il grido di fede, stupito, inatteso, in cui prorompe il cieco guarito, dopo aver sentito un termine nuovo per descrivere quell’uomo: “figlio dell’uomo” (Gv 9, 37), l’epiteto cui Cristo pare decisamente affezionato , vista la frequenza con cui esso ricorre, nel Vangelo. Non riconosce Cristo, non può, perché non lo aveva già conosciuto in precedenza. Piuttosto, però, comprende che quella voce è lo stesso Verbo di Dio, capace di dare seguito positivo all’emissione di fiato che dà vita ad un ordine.
“Tuoi” come di un vasaio
Che perversità! Forse che il vasaio
è stimato pari alla creta?
Un oggetto può dire del suo autore:
“Non mi ha fatto lui”?
E un vaso può dire del vasaio: “Non capisce”? (Is 29, 16)
In questa intimità col creatore, ci scopriamo suoi: lungi dall’essere un attestato di possesso, dice, piuttosto, la propensione di Dio ad affiancare al cammino, offrendo ricovero e protezione, come chi, da sempre, conosce le proprie opere d’arte, che non possono mantenere alcun segreto, nei confronti del proprio creatore. Di fronte a lui, si ritrova “nuda” ed indifesa, consapevole, però, di trovarsi, al contempo, al cospetto del sostegno più prestigioso possibile. Il mistero si mantiene, ma con la prospettiva di un dialogo con il creatore stesso, capace di vedere, in ogni propria creatura, un riflesso del proprio amore.
[1] Es 16,3
[2] Num 11, 14-15
[3] Particolarmente: Sal 95, 8
[4] Gen 2, 4-7
[5] L’immagine del vasaio che plasma l’argilla è richiamata sia in Isaia (64, 7)che nel salmo 138, che esclama, con stupore e gratitudine: « Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno» (14-16)
[6] 2Re 5, 10-13
[7] Si tratta dell’arcangelo Raffaele, di cui si parla nel libro di Tobia, che consente a Tobi di recuperare la vista
RIF. Letture festive ambrosiane, nella quarta domenica di Quaresima, anno C: Es 17, 1-11; 1Ts 5, 1-11; Gv 9, 1-138 b
Vedi anche: M. NICOLACI, La salvezza viene dai Giudei
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3 risposte
Grazie Don Marco x le sue riflessioni Quaresimali ,ci aiutano a capire quale strada fare per raggiungere il risultato migliore che ci porta a Dio che (È AMORE)🙏
E quando la Luce di Dio si fa presente, anche grazie alla nostra fede che lo permette, porta a galla tutte le opere delle tenebre sapientemente nascoste. E occultate…..apre i sepolcri imbiancati e mostra osse putride … Così si ha una guarigione sia dalla cecità fisica che da quella spirituale.