Una dichiarazione d’amore in piena regola non è una cosa che si riceve e si fa tutti i giorni. La maggior parte delle volte capitano brevi “ti voglio bene”, qualche abbraccio, piccoli gesti di cura quotidiana che rivelano attenzione ed affetto, come il piatto preferito preparato a sorpresa, una caramella nascosta nella tasca del cappotto, una faccina sorridente inviata via messaggio. Non diamo mai niente di tutto questo per scontato. Mai. È come un tesoro prezioso, che proprio perché ci è sempre sotto gli occhi finisce per non essere quasi più notato, finisce per essere un’abitudine a cui ci dimentichiamo di dare il giusto, incommensurabile peso.
Capitano invece, talvolta, momenti in cui davanti al nostro quotidiano si spalanca un desolato ed arido deserto. Vuoi per il troppo correre in cui spesso ci sentiamo ingabbiati, vuoi per dei momenti difficili in cui il dolore è come un uragano che travolge e distrugge ogni cosa. E ci pervade un angosciante senso di solitudine, nonostante si viva costantemente circondati da propri simili. Ognuno di noi l’ha provato almeno una volta nella vita. Poi è arrivata una pioggia ristoratrice – una parola di conforto, uno sguardo di empatia, una mano tesa ad aiutare – e pian piano quella landa desolata è tornata a fiorire.
C’è anche chi il deserto se lo porta appresso, come un fardello di cui non riesce a liberarsi. Anche qui, è più frequente di quel che si pensi. Ci si alza al mattino e l’immagine nello specchio non è più una nostra alleata, bensì una nemica che vorremmo scrollarci di dosso. Guardiamo e veniamo guardati con un malcelato disprezzo: niente di quel che siamo ci piace, né fuori né dentro. Tutto di noi ci sembra da buttare via. Se dovessimo dare un voto a quel volto che ricambia il nostro sguardo dovremmo chiedere l’intervento dei numeri negativi. Quando non siamo noi, possono essere altri a prenderci a pesci in faccia: persone sempre pronte ad esprimere giudizi, sempre con il pollice verso quando vogliono decretare il nostro valore; si fanno beffe del nostro dolore, anzi, se ne alimentano, sentendosi dei giganti in grado di schiacciarci con uno schiocco di dita. Inutile specificare che di gigante, costoro, hanno solo la facciata, dietro cui sono nascoste crepe su crepe.
Ognuno di noi attraversa queste fasi nella vita. È normale. A volte è come stare sulle montagne russe, un continuo saliscendi che dà il capogiro. Non sempre – anzi, quasi mai – tutto questo dipende esclusivamente da noi stessi, dal nostro controllo e dalle nostre capacità: ci sono circostanze in cui non abbiamo voce in capitolo e sono la maggioranza.
Alla domanda “ti senti amato?” in quanti risponderebbero prontamente con un sì ad alta voce? Quanti invece tentennerebbero, iniziando ad aprire i cassettini dei ricordi per capire quale sia la risposta da dare? Quanti, infine, avrebbero il loro no già pronto a fior di labbra, perché per essi non c’è nessun cassettino della memoria in cui rovistare, nessun abbraccio ristoratore dietro la porta di casa, nessuna parola amica a scaldare il cuore?
La dichiarazione d’amore che Dio fa nei nostri confronti riecheggia sin dall’eternità. Sin da quell’instante in cui, osservando le proprie creature, egli se ne innamorò perdutamente, dicendo che “ecco, vide che era cosa molto buona” (Genesi 1,31). Tuttavia, anche se è il Padre in persona a farla, questa dichiarazione d’amore rischia di tramutarsi in un flebile sussurro nel vento, se qualcuno di noi non si fa megafono per donarla a chi ha bisogno.
Trasformare l’Amore in amore: con parole, gesti, sguardi. Solo così il deserto di ogni solitudine può diventare una distesa fiorita.