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Non sempre i risultati premiano i nostri sforzi; così, quando accade, spesso ci capita d’illuderci che possa essere solo merito nostro. Della nostra bravura, della nostra pazienza, della nostra perseveranza, della nostra maestria, della nostra abilità, della nostra autostima.
Invece, a ben guardare, più che grazie a ciò, ci rendiamo conto che il positivo si avvera nonostante. Nonostante una miriade di cose.
Giona convertì i niniviti, nonostante la propria reiterata riluttanza ed incredulità. Isaia è tutt’ora nel novero dei maggiori profeti che si ricordino, nonostante si sia spesso lamentato  della propria inutilità. Osea è diventato paradigma di misericordia, nonostante abbia faticato ad accogliere le richieste di Dio. Mosé trasse il popolo d’Israele, liberandolo dalla schiavitù d’Egitto e  convincendo il Faraone a lasciarlo andare, nonostante la balbuzie della loro guida. Geremia divenne profeta, nonostante la sua giovane età non ne facesse il candidato ideale. Pietro divenne il primo Papa e testimoniò Cristo fino alla morte, nonostante lo avesse rinnegato per tre volte, durante la Passione. Paolo divenne l’Apostolo delle Genti, anche lui martire, nonostante fosse stato a lungo il più acerrimo nemico e persecutore della Chiesa di Cristo.

Così, allo stesso modo, capita che i risultati positivi giungano. Non è mai automatico che questo avvenga; tuttavia, ciò accade. E, pur essendo vero che, per raggiungerli, sono stati necessari il nostro impegno, la nostra perseveranza, le nostre capacità, il nostro esserci ed il nostro crederci fermamente, è altrettanto vero che siamo stati noi stessi il nostro primo ostacolo al compiersi del bene. Con il nostro orgoglio, con la nostra vanità, con il nostro desiderio di primeggiare, che ci fa vedere rivali dove ci sono solo fratelli, con il nostro pessimo carattere oppure, ancora, con la nostra scarsa capacità di avere tatto, empatia e diplomazia, con la nostra avventatezza e con la nostra impulsività. Tante sono le cause imputabili a noi stessi, che possono far sfumare le occasioni ed in un solo, maldestro gesto, farci perdere tutto ciò che avevamo, fino a quel punto, costruito!
Ecco, quindi, che lo Spirito di Dio non solo prega, ma lavora in noi e per noi, oltre le nostre umane e semplici possibilità, aiutandoci a costruire quei ponti che ci consentano di oltrepassare i limiti della nostra umanità, senza i quali non ci sarebbe possibile riuscire a fare del bene, in modo duraturo («Infatti, io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio» Rm 7, 19). È esperienza quotidiana: abbiamo progetti, obiettivi, finalità che vorremmo raggiungere, ma, tanto spesso, ci aggrovigliamo nei nostri personalismi, perché attanagliati da troppe paure; spesso, infondate, come ben proclama il salmo 52 («hanno tremato di spavento, là dove non c’era da tremare») e, il più delle volte, unicamente frutto di insicurezza. Talvolta, però, assaporiamo il gusto di vedere finalizzati i nostri sforzi: sarebbe vanagloria ritenerci gli unici responsabili, perché, chiunque, guardandosi alle spalle, sa di essere arrivato più e più volte sulla soglia del baratro (magari anche solo non crederci più, a fronte di numerose sconfitte ed incomprensioni).
San Filippo Neri supplicava “Signore, tienimi una mano sulla testa. Tieni due mani sul mio capo, non ti fidare di me: quante volte ti ho fatto cadere dal mio cuore!”. Anche la persona più corretta ed onesta sa che, se fossero svelati i pensieri più profondi del proprio cuore, troverebbe di che arrossire. In ognuno di noi albergano, dove più dove meno, invidie, contese, gelosie, ira non sopita. Tutti macigni che non ci facilitano il cammino, per i quali abbiamo bisogno dell’aiuto di Qualcuno, che talvolta si presenta attraverso un volto o una voce nota, per poter comprendere il modo migliore per riprendere il cammino, in modo più spedito. 
Ecco perché sarebbe – semplicemente – un affronto alla verità, oltre che una superficialità – l’illusione di essere gli unici artefici dei propri successi!

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