Una carriera fulminea: sin sulle tracce della maturità. Chiamasi “libro dei volti”. O più semplicemente Facebook, la nuova frontiera delle relazioni umane. Con più di 52 lingue parlate, con oltre 175 milioni di “abitanti”, con quasi tutte le professioni rappresentate – casalinga, prete e clochard compreso – in pochissimo tempo è divenuto il sesto paese al mondo scavalcando il Pakistan e il Bangladesh fino a trasformarsi in un fenomeno planetario. 700 milioni di immagini nuove ogni mese, quattro milioni di video, 15 milioni tra note, link e post vari: anche per di qua è passata, una su tutte, la vittoria di Barack Obama in corsa verso la Casa Bianca. E il lutto per la morte del padre del pop, Michael Jackson. Perchè chi ha creato tutto questo sapeva bene che sin dall’antichità l’uomo necessita della relazione per non inabissarsi nella tristezza: e ha fatto della capacità di collegare le persone il punto di forza di questo movimento tellurico dal basso. Bacheche trasformate in piazze, profili come nuovi documenti di riconoscimento, video, note, informazioni, fotografie e amici. Questo è il “di più” che promette il social network ideato nel 2004 da Mark Zuckerberg: tessere relazioni, costruire amicizie, architettare una ragnatela di rapporti che tengano viva la certezza che qualcuno si ricorda sempre di te, che in rete la luce è sempre accesa.
Un paese allergico alla staticità ed eternamente in fase di restauro: inediti racconti, istantanee emozioni, fotografie ri-aggiornate al cambiar dei lineamenti, situazioni sentimentali simili ad elettrocardiogrammi impazziti. Perchè questa è la bellezza rischiosa di Facebook: annullare il tempo fino quasi a vivere in una dimensione atemporale dove tutto è concesso, lecito e ammissibile. Come chi sceglie la notte per abbandonare la formalità del giorno, la compostezza sociale, il vestito stirato, il comportamento ineccepibile: si fanno cose che il giorno non concede. E così le relazioni diventano una specie di locanda a metà strada tra il libero frequentarsi e la promessa di un impegno duraturo. Con buona pace dei vecchi postini e degli amanti d’un tempo che vedono l’ansia dell’attesa, il gusto del corteggiamento, la tenerezza di un fiore poggiato sul davanzale soppiantati da sms, postcad e chat line che annullano la vicinanza – lontananza fisica. Ma che sembrano non destare più di tanta preoccupazione: tanto – come racconta una giovane mamma nel suo profilo – “si fa presto a tagliare se diventa ingestibile”. Perchè può capitare che – tra mamme che diventano amiche delle figlie, figli che scoprono mamme mai pensate così sexy e padri che condividono con le mogli le amanti all’insaputa – ogni tanto sfugga il controllo.
Ma anche questa è cultura. E la Chiesa non può permettersi il lusso di rifiutare la “richiesta d’amicizia” cliccando su “ignora”: significherebbe perdere l’occasione di dialogare con l’uomo moderno, con i suoi desideri feriti e la sua voglia d’immaginarsi un futuro diverso. Già da tempo qualcuno si spinge ad affermare che Facebook è una maniera nuova di abitare un mondo vecchio, un nuovo stile dell’essere, un abitare possibilità diverse. Certamente il Cristo dei Vangeli, a differenza dell’uomo della rete, teneva una sola identità che rinfrescava e ringiovaniva nell’incontro con la gente dei villaggi, con la preghiera e una solitudine creativa. Ma non disdegnava nemmeno i mercati, le piazze e i sentieri affollati dove, tra chiacchiere e confidenze, sapeva aprirsi un varco per puntare al cuore dell’uomo. Partendo il più delle volte dalla mestizia di uno sguardo. Lui che dell’amicizia fece il proclama più bello: “Non vi chiamo più servi ma amici” (Gv 15). Non servi della rete, ma amici in rete.
Perchè anche la relazione non diventi ciarpame all’italiana. In tal caso meglio cliccare su “esci”, prendere una boccata d’ossigeno e idearsi un giro.