Ogni preghiera cristiana, inizia nel nome del Padre; l’anno nuovo, invece, principia nel nome della Madre. Del resto, in tante lingue (come ad esempio il croato o il francese) l’anno è grammaticalmente di genere femminile, quasi a sottolineare la fertilità intrinseca del nuovo che inizia, carico di attese e aspettative. Perché è inutile: nonostante, a fine anno, il bilancio, non sia mai computo esclusivo di cose belle, è inevitabile che pensare che l’anno nuovo possa portare con sé possibilità “tutte nuove”, ancora da sperimentare. Magari, all’insegna dell’arte dell’arrangiarsi e dell’operosità creativa, pur sempre, però, con la prospettiva di non arrendersi di fronte alle avversità.
Il primo giorno dell’anno, anche se spesso ce lo dimentichiamo (attribuendogli, unicamente, la funzione “laica” di dare principio ad un nuovo periodo dell’anno civile), è la più antica festa dedicata alla Madonna, come Madre di Dio (Theotókos, in greco Θεοτόκος): in lei, Gesù è concepito come uomo e come Dio e, a partire dall’Annunciazione (com’è poi, per così dire, “ufficializzato”, nella Passione), diventa anche madre nostra, riferimento costante della nostra vita e tramite privilegiato per arrivare a Cristo (“Ad Jesum per Mariam”).
Questo giorno, dal 1968, su decisione di Paolo VI, Papa Montini, è stato celebrato come Giornata Mondiale della Pace. Così scriveva, infatti, il Beato, nel Messaggio per la Prima Giornata Mondiale della Pace:
«Un’avvertenza sarà da ricordare. La pace non può essere basata su una falsa retorica di parole, bene accette perché rispondenti alle profonde e genuine aspirazioni degli uomini, ma che possono anche servire, ed hanno purtroppo a volte servito, a nascondere il vuoto di vero spirito e di reali intenzioni di pace, se non addirittura a coprire sentimenti ed azioni di sopraffazioni o interessi di parte.
Né di pace si può legittimamente parlare, ove della pace non si riconoscano e non si rispettino i solidi fondamenti: la sincerità, cioè, la giustizia e l’amore nei rapporti fra gli Stati e, nell’ambito di ciascuna Nazione, fra i cittadini tra di loro e con i loro governanti; la libertà, degli individui e dei popoli, in tutte le sue espressioni, civiche, culturali, morali, religiose».
Del resto, come scriveva il poeta irlandese William Butler Yeats, la pace “discende goccia a goccia” (Innisfree, l’isola sul lago), quasi a richiamare la necessità di una costanza senza pari, unita all’imprescindibilità di partire sempre da se stessi e dal proprio piccolo mondo di affetti ed affari, per evitare di scivolare nel vuoto ampolloso della retorica.
Il segno, dato ai pastori è un Bambino, avvolto in fasce. In base a questo, avrebbero dovuto riconoscere il Re dei Re e il Signore dei signori, il Figlio della Vergine Maria. Ci voleva una bella immaginazione, per attribuire questo segno ad una regalità divina! Evidentemente, i pastori ne erano ben forniti, dal momento che non solo vi andarono, con atteggiamento di adorazione, bensì loro, i reietti della società del tempo, divennero i primi testimoni di quel Dio fatto Uomo, che aveva scelto di abitare in mezzo a noi, che lo vogliamo oppure noi.
Ed ha scelto di abitare tra noi proprio come un bambino in fasce. Il che ci riporta alla dimensione della fragilità, di chi ha bisogno di aiuto, di cura per sopravvivere, perché da solo non ne sarebbe in grado. Lui, l’Onnipotente, assume una condizione di Vita fragile: forse proprio perché noi possiamo imparare di nuovo a riconoscere la dignità di ogni vita sulla terra, a maggior ragione di quella più indifesa. come quella nascente e morente. Entrambe, infatti, pur distanti (il più delle volte) nel tempo, sono accomunate dalla fiducia nell’aiuto altrui, senza il quale non riescono a concepire il proprio incedere. Quella stessa fiducia che Dio ripone nell’uomo, scegliendo di nascere bambino, come noi. Piccolo cucciolo d’uomo che deve imparare a diventare uomo, a partire dalle basi: muoversi, nutrirsi, imparare a stare in piedi, a camminare, a dominare i propri istinti corporei (sì, perché, nonostante fosse Dio, anche lui ha messo il pannolino!).
“Dio ci benedica tutti”, diceva Tiny Tim, nel canto di Natale di Dickens. Il tempo Natalizio si protrae, non a caso, dandoci modo di sperimentare la quotidianità del Natale, nella ferialità del nostro vivere. Perché, se sappiamo fare spazio a Dio, nella nostra vita, assumendo il Suo sguardo, riusciremo a scorgere la luce del Bene che squarcia il velo dell’oscurità.
La prima Lettura ci offre, sotto questo aspetto, uno dei brani più toccanti di tutta la Bibbia. Riporto integralmente questa benedizione, affinché possa essere l’augurio per l’anno che viene. Perché un anno con Dio, non può che esser un anno da Dio, al di là di ogni tribolazione ed avversità!
«Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!»
(Num 6,23-26)
Immagine: Adorazione dei Pastori, Lorenzo Lotto (1534 circa)
Rif: Ottava del Natale
Fonti:
“Un canto di Natale” di Dickens, magistralmente drammatizzato da Giovanni Scifoni e Francesca Inaudi:
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