“Quando hai capito che ti voleva bene?”. Indipendentemente da chi possa fare da soggetto, se ci fermiamo un attimo a pensarci, ci rendiamo conto non solo di essere amati, ma, soprattutto, di sentirci amati quando possiamo essere fragili, quando possiamo dismettere le nostre maschere “ufficiali”. Essere, semplicemente, autentici, nel bene e nel male.
Quando eravamo deboli
San Paolo, nel quinto capitolo della lettera ai Romani, si sofferma sulla tempistica scelta da Dio per la sua opera di redenzione. Lo straordinario è che siamo ben lontani dalla perfezione. È piuttosto il contrario. Un tempo caratterizzato da debolezza e fragilità, in cui l’uomo è ancora immerso nel peccato e lontano dalla purificazione che lo stesso Giovanni andava predicando[1]. C’era lui, l’ultimo dei profeti, il Precursore del Cristo, che provava ad invitare ad una conversione che non fosse solo interiore, ma radicale, totale, capace di coinvolgere la vita intera, dai pensieri alle azioni concrete e quotidiane.
Ancora prima
Ma la conversione richiede tempo e pazienza. E, nel frattempo, spesso, s’incorre in fallimenti e frustrazioni. “La sua piccola creatura, l’uomo, avrebbe retto? Oppure tanto sarebbe bastato a farlo scoraggiare?”. Le viscere divine paiono non reggere allo struggimento. In quella storia d’amore che si perde nella notte dei tempi, tra giovani ebrei che fanno fortuna in terra d’Egitto[2] e rovi che prendono fuoco tra i pascoli[3], non può che coinvolgere il proprio affetto più prezioso, inviando il Figlio. Lo stesso che, preesistente, presiedeva alla Creazione, ora condivide i passi dell’uomo, sulle sue strade polverose, spezza il pane con poveri, emarginati, prostitute e pubblicani, predica nelle sinagoghe, osserva con grato stupore i gigli di campo e gli uccelli del cielo[4].
Ancora prima
È controintuivo, per il nostro cervello meritocratico, pensare a un Dio che giochi d’anticipo, abituati come siamo – da sempre – ad agire in vista di un fine. Perché gli obiettivi si raggiungono “con il duro lavoro”, solo se te lo meriti. E, anche così, non è mica detto che ci riesca. È solo un po’ più probabile. Perché poi – ce lo dice la vita – “uno su mille ce la fa”: la concorrenza è sempre forte, numerosa e spietata. Il nostro sogno non è mai soltanto nostra e questa condivisione ‘fratricida’, invece di avvicinarci nella solidarietà, ci mette contro chiunque altro abbia il nostro stesso sogno, in un paradosso senza eguali.
Il tempo di Dio è l’anticipo
Invece, è proprio così. Dio gioca d’anticipo. Ci precede. Non pone condizioni al suo amore, ma, al contrario, ci mette nelle condizioni di potervi corrispondere. Perché un uomo, quando si sente amato in modo incondizionato, raddoppia la propria forza e diventa in grado di affrontare anche il proprio peggior nemico, che, tante volte è rappresentato da se stesso e dalla propria paura, che fa giocare al ribasso e accontentarsi di raccogliere le briciole e tirare a campare.
La difficoltà di credere all’amore
“Chi morirebbe per un giusto?”, si domanda san Paolo. Anche per un giusto, non è facile morire. Chi, tra noi, morirebbe per un perfetto sconosciuto, per quanto abbia la nomea di persona per bene? Forse, una madre o un padre darebbe la vita per un figlio… ma chi si sacrificherebbe senza il minimo indizio di un ritorno positivo? Chi si prende questo rischio?
Quanti uomini, inseguendo il potere, si sono messi al posto di Dio, opprimendo i più deboli?
Solo Cristo, pur essendo Dio, accetta di morire per la vita e la dignità dell’uomo. Senza certezza alcuna (anzi!) di essere capito, apprezzato o magnificato. Nel paradosso della sconfitta di un quasi-ignoto nazareno che muore con ignominia, è nascosto il mistero della salvezza.
Chi crede, attende con la stessa speranza del contadino che sa che il seme nascosto nel terreno attende solo il tempo opportuno per germogliare…
Rif. Seconda lettura ambrosiana, nella terza domenica dopo il martirio del Precursore: Rm 5, 5-11
Fratelli, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
Fonte immagine: Il nuovo calcio
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