transenneVivo. Ma c’è la morte. Amo. Ma sarà per sempre?

Ho appena avuto un figlio. Ma ho un’unica certezza: morirà.

Faccio progetti. Li realizzerò? Risparmio. Per chi?

Perché così lugubre, oggi?, vi starete chiedendo. Credo che tutti, se ci fermassimo soltanto un attimo, mettendo da parte le nostre frenetiche corse quotidiane, i nostri tumultuosi progetti, i sogni, i desideri, le aspirazioni… se prendessimo tutto questo e – solo per un momento! – lo mettessimo da parte, ci fermassimo e ci domandassimo dove stiamo andando, credo sarebbe inevitabile fare queste riflessioni. E credo sarebbe altrettanto comune e umano che un certo senso di smarrimento ci possa prendere.

È la constatazione che ciò per cui corriamo, ci affanniamo, ci preoccupiamo… in una parola, ciò che riempie le nostre giornate (e sono tutte cose buone, belle, grandi e vere!) è destinato a volgere verso una conclusione. Noi stessi non siamo eterni. Non solo. Nonostante le mille cure per ringiovanirci e le tante attenzioni estetiche, l’unico modo finora conosciuto per vivere a lungo resta quello di invecchiare (ahinoi, tasto dolente, lo so!).

Ecco, allora, una prima tentazione – molto di moda in questo periodo – che è quella di “godersi la vita”, secondo il motto del “tutto, subito, finché ne ho voglia e mi diverto, perché la vita è una sola!”. È l’apoteosi di un egoismo malsano, con tendenze estetizzanti (nel senso meno nobile possibile della parola), incapace di percepire, quindi, la profondità dell’esistenza. Com’è possibile, infatti, fare valutazioni di un certo spessore, mantenendo come unico riferimento il divertimento? Anche solo parlando di tempo libero, risulta riduttivo poter definire così, ad esempio, un pomeriggio con amici. Divertimento fa pensare a qualcosa di sguaiato, quasi goliardico. Un pomeriggio gradevole, però, non è – necessariamente – caratterizzato da ciò: bastano cose semplici, affabilità amichevoli a renderlo interessante, arricchente e gioioso. Ma non divertente (in senso stretto). E se risulta un criterio insufficiente per valutare un pomeriggio in compagnia, il piacere e il divertimento possono forse essere adatti per la valutazione di questioni più sostanziali nella vita dell’uomo? Sinceramente, ne dubito.

Dall’altro lato, sopraggiunge una ulteriore tentazione, di segno opposto. È quella spiritualista che, constatata la caducità della materia, propone il disprezzo delle “cose del mondo”, accompagnato ad una forte tensione verso l’aldilà, l’oltremondano. Tutto ciò sfocia, spesso, nella passione per il paranormale e l’occulto. Vi si affianca una sempre crescente insoddisfazione verso se stessi, ciò che si è, ciò che si fa, che si estende all’intero mondo circostante. Il rischio che si corre, in questo caso, è una sorta di “pessimismo cosmico”: una vita vissuta nell’attesa, il più delle volte spasmodica, della morte, vista come unica, possibile (e quindi desiderata) liberazione da una vita inutile, vuota e priva di senso. Inutile aggiungere, quindi, che il pericolo principale di questo “spiritualismo estremo” sia la morte, vista come culmine della vita, anzi vero e proprio scopo: una visione di questo genere avvicina inevitabilmente l’individuo a una simpatia verso il suicidio, che rischia di essere addirittura concretamente cercato.

Una “terza via” è quella proposta dal cristianesimo. È quel tentativo di conciliare terra e cielo, finito e infinito, unificando l’uomo in profondità. L’uomo vive nella dimensione fisica e tangibile, soggetto ai mutamenti provocati dal tempo. Eppure, fanno parte integrante della sua natura la progettualità, l’aspirazione a migliorarsi, la volontà di impegnarsi seriamente per un lungo periodo: la capacità e la necessità, cioè, di guardare avanti, oltre l’oggi, oltre l’immediato, verso un domani che non gli appartiene, che non è suo (anche se potrebbe esserlo) e di cui – spesso – ragiona come se lo fosse già. Così l’uomo sogna, fantastica, spera. Pensa alla famiglia che va costruendosi, alla casa nuova – che pagherà con un mutuo! –, a un nuovo e interessante progetto lavorativo che va prendendo forma. Qui si inserisce il fatto cristiano.

«L’Incarnazione è una scelta di gioia e d’amore. E l’ultima forma d’amore è precisamente la credenza in questo mondo»1: Dio ama l’uomo, tanto da diventare come lui. Solo allora, l’uomo – sentendosi sacro e benedetto – potrà – davvero – dire “Dio”.

Ecco la follia a cui siamo chiamati, per cui è inevitabile qualche inciampo, lungo la via: non si tratta di rinunciare alla bellezza di questo mondo (tutt’altro!), ma è chiesto, nel ricercarla e apprezzarla, la consapevolezza che non è l’unica possibile, che ce n’è un’altra, oltre le transenne di ciò che (sembra!) l’invalicabile spartiacque, il confine naturale che la morte sancisce come termine ultimo della vita.

Non si tratta di vivere con la testa tra le nuvole. Ma di vivere pienamente la vita quotidiana, con le sue sfide, le sue gioie e i suoi dolori, coltivando – al contempo – la speranza per una vita senza fine.

 

 


Note

1) MICHAEL HARDT, L’esposizione della carne

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