Sul lungomare di San Benedetto del Tronto (AP) – a differenza del lago cantato dal Manzoni in apertura del suo capolavoro – tirava un fortissimo alito di vento. Ma nulla impedì ad un bellissimo gruppo di maratoneti e amici di celebrare un’Eucaristia meravigliosa laddove il giorno dopo sarebbe stato posto lo striscione d’arrivo: perchè quando l’anima è intonata con il cuore, nessun traguardo sembra più impossibile da conquistare. E dietro ogni volto, ogni lacrima, ogni sguardo sabato sera c’era una storia: ferita, da consolare o semplicemente da carezzare non importa, sono le storie di Dio: quelle che il finale non lo regalano all’inizio, ma solamente dopo righe e righe lette e scarabocchiate magari in ginocchio. E nella messa ci siamo collegati “spiritualmente” con il mio Peppone che se ne stava rintanato nella Berlino (anch’essa m’hanno detto bagnata) con la squadra della Gazzetta Runners e con i miei compagni di squadra del Forum – Villa Aurelia: una chiesa sparsa in tutto il continente. Tutt’attorno una città e il suo sabato sera bagnato: eppure chi passava stretto sotto il suo ombrello, uno sguardo lo gettava e qualche secondo se l’è regalato in fronte a quel calice alzato al Cielo: sono i piccoli segni di un cristianesimo che sa ancora essere pietra d’inciampo e fontana di meraviglia. Perchè una gara la si vince o la si perde con il cuore: e allora tanto vale allenarlo e ordinarlo prima di allacciarsi le scarpe. Per non correre il rischio di correre tanto per correre.
Una gara podistica meravigliosa quella che partita dalla piazza di Ascoli c’ha condotto sudando sul lungomare di San Benedetto del Tronto dopo 33250 metri di corsa. Oltre 700 atleti (record di iscritti) a questa V^ edizione curata con una passione immensa e una forza di volontà che ha sfidando il disinteresse della provincia dalla società sportiva Porto 85, una realtà fatta di sport, giovinezza e volontà. Dovevo arrivarci in 134 minuti e mezzo, sotto il traguardo il timer è stato impietoso: m’ha sbattuto in faccia 170 secondi in più.

E’ andata così.

 

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Partito per fare un’andatura che macinasse 3’59″/4′ al km, la mattina sul pullman ho trovato una lepre speciale, che la sera prima avevo riconosciuto a Messa: quella Marcella Mancini (nazionale azzurra) che di maratone vinte e perse se ne intende. Per 15 km s’è offerta di farmi da lepre (e suggeritrice preziosa di stile atletico) ma il suo ritmo viaggiava 11″ più basso delle mie previsioni. Però non capita ad un piccolo atleta come me di avere l’onore di una lepre di tale caratura sportiva. Così per 15 km l’ho seguita, poi lei s’è involata alzando ulteriormente il suo ritmo. Così, ormai falsato nei miei tempi, fino al 25° km ho retto l’andatura che lei m’aveva impostato (tanto che il Garmin segnava una media generale di 3’54”), poi un crampo micidiale m’ha segnato la condanna definitiva. La mancanza d’acqua in una giornata calda m’ha rinnovato la certezza che lo sport è tutto fuorchè improvvisazione: e alzare di 11″ un ritmo impostato nelle tabelle non è cosa di poco conto. Ma si sa che l’esagerazione e la spavalderia fanno parte della giovinezza, sopratutto della mia. Così negli ultimi 8 km ho scoperto quello che ho predicato la sera prima: che quando si spengono le gambe s’accende l’anima. Ho alzato un po’ il mio ritmo (nel senso che sono andato un po’ più piano), ho trascorso 130 secondi con una vecchietta che vendeva fiori e che, gentilissima, m’ha offerto un litro d’acqua fresca: cinque sorsi in gola e tutto il resto per raffreddare il corpo. Una frequentazione platonica che m’è costata più di due minuti, ma che mi è valsa la conferma che davvero la corsa è come la vita: puoi prevedere tutto, ma qualcosa d’inedito rimane sempre. Triste solo che, rimessomi in marcia, m’abbia salutato regalandomi una frase (che lei rivolse al marito e, forse, pensava non raccogliessi): “Ma cos’hanno fatto di male questi per meritarsi una fatica così massacrante?” Peccato quella nonna non se ne intendesse di sport. Ma c’aveva un cuore grande.
Così facendo – e accettando d’essere superato da qualcuno – son giunto sotto il traguardo accompagnato da quegli ultimi 4 lunghissimi km dritti come una freccia che sono il lungomare di San Benedetto. Mollare sarebbe stato semplice, ma non lo potevo fare: per il numero 1 addosso, per l’accoglienza indescrivibile degli organizzatori, per il pensiero dele migliaia di giovani che ho incontrato in questi dieci giorni e che mi hanno parlato di “voglia di lottare”,  per l’etica della sconfitta e per quei quattro tifosi speciali che hanno vissuto e condiviso con me questo fine settimana dove lo sport ha incontrato per l’ennesima volta la dimensione della fede. Poi sono bastati dieci minuti di massaggi per rimettere in piedi le due gambe più belle e preziose che Dio poteva dare ad un bambino come me: per vivere correndo!
All’appuntamento di Central Park mancano ancora 42 giorni per un totale di 600 km di allenamento. Ma questa tappa d’avvicinamento m’ha arricchito il cuore di tre cose: a) l’accoglienza di Manrico e di Roberto (il presidente della Porto85) mi hanno mostrato cosa riesce a fare il cuore anche solo in occasione di una gara sportiva, b) che puoi essere anche giovane ma la fatica accumulata nei tanti incontri di questi giorni prima o poi lascia il segno, c) il fatto che ancora una volta una gara è diventata il pretesto per parlare dell’anima, del Cielo, di un Dio meravigliosamente in eterno cammino. Questa è stata per me prete l’ennesima e gioia bella da aggregare a mille altre nel mio sacerdozio creativo e innamorato.

Solo un appunto a margine del diario di bordo: se qualcuno vede o incrocia il mio Peppone, ditegli che aspetto sue notizie da Berlino. Non mi basta il tempo cronometrico, voglio la radiografia del suo cuore! Tanto perchè non pensi che la distanza possa dividere ciò che Dio ha unito.

 

 


Un po’ della rassegna stampa della gara

 

Il Quotidiano

Il Segnale

Riviera Oggi

 

Dopo la gara

Il Quotidiano

Riviera Oggi

Il Mascalzone

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