La liturgia ci invita a ritornare, con la memoria, a quelle origini che si perdono nella notte dei tempi. Perché solo comprendo che sono le stesse che si rinnovano ogni giorno, potremo accostarci all’azione rinnovatrice di Dio nella storia: egli infatti, non solo crea, ma dona – costantemente – l’essere a ciascuna delle proprie creature, facendole partecipi della propria sovrabbondanza, per deliberata scelta d’amore.
Un aiuto adeguato
«Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2, 18)
Lo capisco, questa frase potrebbe dare origine a malintesi e anche a mal-umori. Aiuto? Come una domestica? Come una colf? Per spazzare i pavimenti? Se però si ha la pazienza di effettuare un’epochè (sospensione del giudizio) almeno fino al prosieguo immediato (“che gli corrisponda”) forse la situazione potrebbe migliorare. La corrispondenza (oltre ad una relazione biunivoca, in matematica) può suggerire la tradizione, ormai fuori moda, di uno scambio epistolare fitto e – generalmente – all’insegna della reciprocità, così come la relazione matematica citata. Ecco quindi che, se si parla di un aiuto corrispondente, non si sta facendo riferimento ad un sottoposto cui assegnare i compiti più ingrati, ma di un alleato, cui far affidamento nei momenti più critici, nella fiducia di potersi cambiare con uno sguardo.
Il nome come potere, ma anche custodia
in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome (Gen 2, 19)
Il nome, nel mondo ebraico, è sempre qualcosa da cui deriva una grande responsabilità. Se leggiamo nella Bibbia, molto del destino di ogni uomo è legato al suo nome, tanto è vero, che quando Dio sceglie un uomo, o una donna, per un progetto particolare, la prima cosa che fa è cambiare il suo nome[1]. Non è così strano, se ci pensiamo. Perché questa tradizione, nella storia, fu assorbita anche all’interno delle consuetudini monarchiche un po’ in tutta Europa. È un modo per rimarcare una vera e propria caesura, nella vita di una persona. Ma non solo: se dal passo biblico emerge un potere in questo conferimento del nome, non possiamo dimenticare l’aspetto di responsabilità e di custodia, insito nell’autorità.[2] L’uomo, che esercita autorità sul creato, ne diventa anche responsabile. L’autorità non ne sancisce autorizzazione a spadroneggiare, ma anche al contrario, evidenzia la necessità che questi ne sia il custode, amorevole e premuroso.
Un pezzo di me!
«Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,23)
Questa frase può essere meglio compresa, se si presta maggiore attenzione alla terminologia ebraica, che dà luogo ad un interessante gioco di parole, per cui a אִשׁ (ish, uomo), corrisponde אִשָּׁה (ishà, donna). Il verbo “togliere” potrebbe far pensare a una sottrazione, che renderebbe la relazione con la donna simile a quelle che si hanno con le cose che si possiedono – e possono esserci prelevate, con il consenso, oppure con l’inganno –. Piuttosto, è il caso di sottolineare che si evidenzia un’equità che non è uniformità e – insieme – un legame indissolubile. Dire che è “stata tolta dall’uomo”, dopo che questi è stato fatto dormire, evidenzia che quest’atto rappresenta un punto di svolta inemendabile: da questo momento in poi, non sarà più possibile parlare di uomo-maschio; una volta che l’uomo si è ‘specchiato’ nella donna, è sorta la consapevolezza che non è possibile realizzare nulla di diverso da questo: un essere umano che si esprime in un binomio maschio-femmina, cui non è possibile sfuggire, ma, grazie al quale, è possibile sperimentare, fin dalla più tenera età, la ricchezza della diversità.
Tra cultura, natura ed esperienza
Certo, nel corso del tempo, non sempre questa differenza è stata vista come una ricchezza e – ancora oggi – il dialogo non risulta sempre facile. Ma, in fondo, le sfide appassionano proprio quando sono impegnative!
Uguali nella dignità, ma differenti e complementari. Solo in un dialogo costante – fecondo e profondo – l’uomo e la donna possono – davvero – approfondire la propria identità, meglio comprenderla e meglio prenderne consapevolezza, perché è proprio il reciproco confronto, schietto, leale ed eventualmente ironico (e autoironico), ad essere motivo di arricchimento per ambo i protagonisti della storia umana.
Il Novecento è stato – giustamente, perché a lungo ciò è stato messo in discussione – segnato da movimenti culturali e politici, che hanno voluto rivendicare l’uguaglianza sociale e politica e – di riflesso – ontologica ed antropologica della donna.
Cosa succede se, a furia di insistere sull’uguaglianza, perdiamo di vista le differenze specifiche?
È come avere un armadio pieno di scarpe destre (o sinistre). Dove mettere l’altro piede?
Rif. I lettura festiva, nella III domenica dopo Pentecoste, anno B (Gen 2, 18-25)
Fonte immagine: WordPress Fabio Salomoni
[1] Vd. Genesi 17
[2] Come specificato in Laudato sì, n. 67, commentando il versetto 15: “Mentre «coltivare» significa arare o lavorare un terreno, «custodire» vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, «del Signore è la terra» (Sal 24,1), a Lui appartiene «la terra e quanto essa contiene» (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23)”.
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