Clochard

Con l’odore dell’umidità cucito addosso: la miseria della strada. Con lo sfarzo di Raffaello e la magnificenza di Michelangelo: la nobiltà dei Musei Vaticani. Miseria e nobiltà, miseria e misericordia: il misero e la bellezza. Loro sono gli unici a poterlo dire senza passare per arroganti: “Sono amico di Francesco”. Dove la semplicità di quel nome, venuto incalzante dalle colline di Assisi, racchiude la storia di un Papa umile e mansueto, scarno e scalzo. Lui è il Papa e loro sono i clochard, il popolo senzatetto della notte: uomini e donne che si riscaldano a diversi fuochi e hanno scelto le stelle come cartina delle loro peregrinazioni; forse anche dei loro pellegrinaggi. Questi amici Francesco li vuole puliti e in ordine: le docce sotto il colonnato del Bernini raccontano il gusto del bello e dell’ordine, ch’è patrimonio di chi nasce con la camicia e di chi nasce con i cenci addosso. Quei sacchi a pelo regalati sotto Natale e quelle cinquanta euro portate a nome del papa da don Corrado – il suo “braccio operativo” per le strade della miseria – testimoniano il fascino della dignità di chi, seppur povero, per un giorno potrà concedersi il lusso di non fare il questuante. Eppoi – ultimo atto di questo magistero fatto di gesti più che di parole – quelle porte spalancate dei Musei Vaticani. Centocinquanta senzatetto dentro lo splendore delle pitture e la sontuosità delle sale affrescate: solo loro, nessun altro. Tutta quella bellezza a loro disposizione, da spartirsi solo tra simili. Quasi un tramonto da gustarsi sotto il cielo della Sistina, ad assaggiare con gli occhi quella misericordia che Francesco, come un poeta, va narrando. «La pittura è poesia silenziosa, la pittura è poesia che parla» scrisse il poeta greco Simonide. Francesco è l’una e l’altra: con poesia e pittura, di misericordia in imbarazzo, tra sorpresa e godimento. Il Dio di Francesco è bello da vedersi, buono da gustarsi.
Il Papa conosce la strada, è uomo che ha percorso le strade slabbrate dell’emarginazione. Lui i poveri li vuole toccare, non sentirseli raccontare: li vuole abbracciare fisicamente e non solo col pensiero. Li vuole accanto, non solo simbolicamente. Lui ha bisogno di loro – “Pregate per me” è stato l’unico prezzo del biglietto che ha chiesto a quei senzatetto – e loro hanno bisogno di lui: “Io la sera m’addormento sotto un albero, quasi sotto la finestra del Papa” ha raccontato felice uno di loro. Ambedue lo sanno: non esiste la bruttezza, esiste la mancanza di bellezza. Non esiste l’inferno, esistono spazi in cui manca l’amore. Non esiste la malattia: ci sono attimi di tempo nei quali la salute vacilla. Non esiste nemmeno il buio: è che, una volta al giorno, la luce scompare. Non esiste la solitudine: esistono solamente uomini e donne che si dimenticano dei loro fratelli. Che, indaffarati a cercare Dio con l’intelletto, han perduto il desiderio d’andargli incontro laddove Lui ha scelto di nascondersi. Di abitare.
Di sera, ultimamente, la zona del Vaticano è uno spettacolo a cielo aperto. Tutt’intorno il colonnato del Bernini giacciono, dentro lenzuola di cartone e cuscini di fortuna, gli “amici” di Francesco. Per loro lui è l’amico, per Lui loro sono degli ostensori: in essi scorge racchiusa la dolcezza del volto di Dio. Quando Roma s’addormenta, su Francesco vegliano loro, quasi come in un grandissimo abbraccio: che nessuno lo tocchi quel Papa al quale, commossi, aggiungono sovente l’accento. Non è una sgrammaticatura, nemmeno irriverenza: è che loro in quel Papa vedono un papà. Lui, per loro, ha deciso di vivere ai confini del Vaticano, sul limitare delle mura. Vicino a loro il più possibile. Poi un giorno li ha fatti entrare nella Cappella Sistina: là è pennellata la storia della Salvezza. L’unica storia dove i poveri hanno di diritto i primi posti: ecco perchè loro sono entrati senza biglietto. E nessuno ha potuto fermarli.

(da Il Mattino di Padova, 29 marzo 2015)

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