Annunciation angelico valdarno

Una cittadina di Galilea, Nazaret, una borgata come, forse, ce ne sono tante in ogni angolo del mondo. Da lì a poco sarebbe diventato il palcoscenico privilegiato, per l’ingresso di Dio nella storia. Ma non in un grande palazzo, non davanti a re e sapienti. Non al tempio, tra i sacerdoti: luogo adibito al culto e predisposto al sacro. No! In una casa privata, dove abitava una donna, poco più che bambina, com’era, a quel tempo, Maria. 

Angelus Domini nuntiavit Mariae 

Un angelo entra in una casa. Avrà assunto forma umana, come avvenne con Raffaele, oppure Maria vide solo vento e spirito?   
Su questo dettaglio, l’evangelista sceglie di non soffermarsi, per cui abbiamo la libertà di immaginarcelo in molti modi, come, del resto, fecero i pittori, nel corso dei secoli, che hanno dato sfogo non solo a tecnica ed interpretazione, ma anche fantasia e creatività, nella realizzazione artistica di questo episodio evangelico. 
Un angelo porta l’annunzio a Maria: ‘il Signore ti ama: sii felice!’.

Queste parole non provocano immediata allegria. Al contrario: Maria rimane turbata e “si domandava quale senso avesse un saluto come questo”. Forse, un po’ come faremmo anche noi, si domanda se ci sia bisogno di un angelo apposta per comunicarle questa notizia. ‘Forse c’è di più’. E il suo cuore è come sospeso, in attesa, trepidante, del seguito, speranzoso che anch’esso possa essere altrettanto colmo di gioia e non lasciare, come talvolta capita, un retrogusto amaro. 
‘Sarai madre del Messia, non avere paura!’, prosegue l’angelo. Il Messia era atteso, da tutti, nel popolo d’Israele. A maggior ragione, in una situazione di oppressione sotto il giogo romano, com’era quella che stavano vivendo. Tutte le giovani sognavano di poter essere madri del Messia. Quello non era un problema, bensì: un onore! È certamente una bella notizia. Non è quello il motivo principale dello stupore e della febbrile attesa, del cuore di Maria che pulsa più forte nel petto di Maria. Finalmente, si decide e confessa, come un segreto, ciò che la rende incerta: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 
La domanda di Maria è concretissima – e, oserei dire, legittima – per chiunque abbia almeno i rudimenti della biologia, conosciuti almeno a sufficienza, anche a quell’epoca (quanto meno dalle donne, in quanto direttamente interessate e fatte oggetto di trasmissione orale delle conoscenze ataviche al riguardo dalle altre donne della famiglia).
L’angelo non risponde – direttamente – alla domanda di Maria, ma le mostra un altro esempio: la cugina Elisabetta, diventata madre, con la complicità di Dio, in età avanzata. La vergine e la sterile avranno un figlio, come preannunziato da Isaia (54, 1-2), perché «nulla è impossibile a Dio». Le parole di Isaia sono come una guida, per penetrare questo mistero, perché parlano di una gioia, una gioia incontenibile, proprio nel luogo dove non era pensabile: “più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata”.  
Un invito a non arrendersi di fronte alla prima difficoltà, al senso di frustrazione e d’abbandono, di fronte ad una sconfitta. Perché nessuna sconfitta è per sempre. 

Ecce ancilla Domini. Fiat mihi secundum verbum tuum 

«Ecco la serva del Signore. Si compia in me secondo la tua parola»: la giovane di Nazaret si arrende alla dolce onnipotenza divina, ricevendo dall’angelo l’esemplarità della vicenda di Elisabetta “che tutti dicevano sterile”. È una resa che è la vera vittoria. È una resa solo apparente. Perché è sancire la collaborazione tra l’umanità e la divinità; è ricucire quel filo, spezzato dall’indifferenza dell’uomo, che, ogni giorno richiede d’essere rinnovato. Come ogni relazione necessità di essere rinnovata perché, come una pianta appassisce e muore senza l’acqua quotidiana, così ogni relazione deperisce se abbandonata a se stessa, senza la propria razione quotidiana di tempo e di spazio. 

 

Verbum caro factum est. Et habitavit in nobis  

Il verbo si è fatto carne. Ed abitò in mezzo a noi. Perché è con il sì di Maria che l’incarnazione ha preso avvio. 
La domenica che precede la Natività, il rito ambrosiano prevede una festa particolare: la divina maternità di Maria. È un invito a contemplare quali siano i modi e i tempi con cui Dio sceglie di fare irruzione nella storia dell’uomo.  Tempi e modi che non sono mai come i nostri perché, “i pensieri di Dio non sono i nostri“ (Is 55, 8): per questo, oggi, come duemilaventuno anni fa, Dio trova sempre modi nuovi per incrociare le nostre storie d’uomini con il Suo divino amore! 


VANGELO Lc 1, 26-38a
✠ Lettura del vangelo secondo Luca
In quel tempo. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». 


Vangelo festivo ambrosiano nella Domenica dell’Incarnazione (detta anche Divina Maternità)

Fonte immagine: Annunciazione, Beato Angelico (S. Giovanni Valdarno, FI, 1430 circa), Wikimedia

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