Nel tempo potrebbe diventare la Giornata Mondiale dei Falliti, ovvero di tutte quelle persone che, date anzitempo per morte, hanno saputo far sbocciare dentro la sconfitta il germe della vittoria. Perchè celebrare la Pasqua è celebrare l’impossibile che si fa segno e promessa sopratutto laddove già si odono le nenie funebri che anticipano la distruzione finale. Stanotte la Cassandra della mitologia greca – che prevedeva terribile sventure ed era invisa a molti – è stata spodestata da un Uomo Risorto che dentro la morte ha riacceso il fascino della vita. E ha insegnato agli uomini il segreto della vittoria: quando tu li pensi sconfitti, loro scattano in contropiede.
Eppure sotto il Calvario a tutt’oggi non è stata ancora concessa la delibera per una circonvallazione che ne eviti la dolorosa salita: cosicchè solo attraverso quella via crucis si riesce a raggiungere il sepolcro vuoto ch’è segno e premonizione di un’Eternità luminosa. Tutti i rimanenti sentieri e le più squallide scorciatoie sono state ideate e finanziate da chi ha tradito l’intuizione originaria formulata dall’Uomo della Croce: la gloria attraverso la passione. Oggi le navate delle chiese saranno stipate, si esporranno le vesti più preziose e s’alzeranno incensi profumati d’Oriente. Oggi è il giorno della Chiesa festante, del suo trionfo e trionfalismo, ma ci perdoni il Risorto se dal pulpito di qualche chiesa qualcuno troverà il coraggio di ricordare all’umanità che credere a Pasqua non è vera fede: troppo facile, troppo bello, troppo scontato salire sul carro di un Vincitore già decretato tale. La vera fede abita in quella carovana sbilenca e multiforme aggregatasi nel momento del tradimento di Giuda, che ha conosciuto le lacrime e lo strazio di un Dio scaraventato sulla Croce e che, piangente ma non disperata, ha scorto per prima le luci dell’alba pasquale. Saranno loro oggi a farci gli auguri di una Buona Pasqua. E saranno auguri scomodi e fastidiosi perchè profumano di terre lontane e di gommoni di fortuna, tengono la fatica di un contratto lavorativo strappato e l’angoscia di un futuro incerto, raccontano di ministri affaticati e sull’orlo della disperazione. Eppure saranno quelle le litanie che saliranno diritte al Cielo: perchè Lassù sanno che non c’è gloria laddove non s’è conosciuto l’alfabeto della sofferenza.
I Vangeli di Pasqua sono la melodia del cambiamento: da quel giorno nulla è stato più come prima perchè una speranza inaspettata s’è ficcata nel mezzo del legno della Croce, costringendo l’uomo ad imparare una grammatica nuova. Con un messaggio trasparente e inequivocabile come eredità e ammonimento: cambiare non significa gettare il passato alle ortiche ma amarlo a tal punto da rischiare la follia pur di ridargli slancio e vitalità. Chissà mai che un giorno pure la sua Chiesa – nata in quei giorni sconvolgenti della prima pasqua cristiana – non ritrovi la forza e l’ardire di cambiare le sue appesantite abitudini per riscoprire il fascino di quel mattino di Pasqua quando le donne s’accorsero in anteprima che Lui aveva avuto così a cuore il passato della sua umanità d’aver accettato l’umiliazione della Croce pur di assicurare un futuro splendido.
Su tutti i sepolcri della storia e nella porte d’ingresso delle Chiese, sulle barricate delle galere e dei centri d’accoglienza, sul davanzale dei palazzi di potere e sulle teste dei potenti stanotte è stato scarabocchiata una “tirata d’orecchi”: “Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è qui, è risorto!”. Peccato che qualcuno s’intestardisca ancora a raccontare la Morte. E che altri diano loro ascolto: forse è mancata loro la puntata del Venerdì Santo.