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Ascoltarlo è una festa. Dalle strade polverose di Naim a quelle trafficate di Gerusalemme, dai tuguri dei poveri d’Israele alla reggia sontuosa della casa di Simone. Su sentieri di polvere, carezzando mani ferite, gomito a gomito con la miseria: per proporre l’avventura della grazia, offrendo l’esperienza della misericordia. Miseria e misericordia: la causa e la conseguenza, il grembo e la nascita, la madre e la figlia. C’è l’uomo da salvare: questo il Cristo dei Vangeli l’ha ben presente. Per quest’uomo farà l’impossibile: si curverà dal Cielo verso la terra, da terra indicherà con la vita il Cielo, della Croce farà il vessillo di ogni vittoria a seguire. Lo crocifiggeranno: risorgerà, come aveva promesso. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nel nome della promessa.
Non poteva, dunque, che essere rabbiosa – seppur rivestita di quella garbatezza che rimase il suo tratto caratterizzante – la risposta sferrata agli scribi e ai farisei, giunti apposta per rinfacciargli la mancanza di galateo dei suoi amici popolani: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» (liturgia della XXII^ domenica del tempo ordinario). C’è un mondo che chiede il pane, c’è una storia che gronda sangue e ferite, c’è un’umanità sofferta e sofferente: e a costoro, maestri e profondi conoscitori della legge, che cosa è d’interesse? I gomiti da lavare, le abluzioni, le lavature di bicchieri e delle stoviglie, gli oggetti di rame e la preparazione dei letti. Quisquilie al posto dell’essenziale, il solletico invece che la gioia, la miseria del quotidiano al posto della misericordia dell’Eterno. Anche troppo aggraziata la risposta dell’Uomo che non temeva, a domanda, di controbattere con risposta: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto». Tiè, beccatevi questa: è parola di Dio!
I gomiti lavati sono le risposte perfette per le pagelline del catechismo, le abluzioni fatte fanno felici gli uomini che rovistano tra i banchi delle chiese ammuffite, le stoviglie ordinate e i piatti splendenti sono il bellissimo biglietto da vista dell’oratorio ornamentale, seppur vuoto. L’apparenza, il sei meno meno dei Vangeli: quello che, sovente, diventa la lode di un certo cristianesimo di facciata. I farisei sono “l’eccellenza della parrocchia”. Le loro risposte sono sempre perfette, esaustive, dettagliate: articolo 3 del codice di diritto canonico, comma 4 dello statuto del consiglio pastorale, punto 7 dei lineamenti diocesani. Le risposte sono perfette, senza ombra di dubbio: sono risposte fredde, però. E tanti che vanno cercando Dio, invece, sono uomini caldi, accaldati per la troppa nostalgia: occhi meno che ingenui per aver imparato a distinguere il Cielo dai propri fantasmi di Cielo. Come il fiuto dei Magi d’Oriente, l’ardire dei pastori di Betlemme. Anche oggi il cercatore di Dio percepisce a pelle che certa gente è come i cartelli stradali: indicano la direzione esatta – «A Betlemme di Giudea», pulitevi i gomiti, lavatevi le mani! -, ma si capisce subito che in quella località loro non ci sono mai stati. Sono espertissimi in geografia, ferratissimi nella morale, ma loro quelle terre non le hanno mai visitate. Quelle norme non hanno cambiato la loro vita. Si sente: come pretendere che cambino la vita degli altri?
Punta dritto Cristo. Ascoltarlo oggi è una festa, la solennità festosa e spassionata dei cinque sensi dell’uomo: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Nulla, di tutto ciò che d’impossibile entra nel cuore dell’uomo, ha il potere di renderlo impuro: la creatura è un marchingegno impareggiabile che basta a se stesso. E’ il cuore dell’uomo che, devastato da Lucifero, ha il potere di rovinare le cose, l’uomo, il sogno di Dio. Cristo non sa che farsene di un eroismo senza tenerezza: forse per questo ha detto «non c’è nulla fuori dell’uomo». Il resto l’hanno storpiato altri dopo di Lui, confondendo volutamente la sessualità con la perdizione, il denaro con l’ingordigia, la bellezza con Narciso. Cristo aveva detto l’esatto contrario: a contaminare non sono quelle cose, ma l’uso di quelle tre cose. Mica quisquilie, signori/e.

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