Vedere il volto di Dio: il desiderio sempiterno dell’uomo curioso, intelligente, pieno di domande. Dell’uomo che non si stanca, che preferisce – piuttosto – non avere ingombranti etichette, pur di proseguire in una ricerca che si faccia sempre più profonda, viscerale, significativa per la propria vita. Mosè è certamente nel numero di questi ultimi, come possiamo vedere nella prima lettura. Eppure Dio, che, misericordiosamente, tenne conto delle sue richieste per Sodoma e Gomorra (vd. Gen 19), questa volta non accoglie con favore la sua domanda. «Tu non potrai vedere il mio volto» (Es 33, 20), stabilisce, infatti, il Signore. Eppure, acconsente ad un compromesso, lasciando che egli ne veda una spalla.
Da allora, la nostalgia non è mai venuta meno. La fede altro non è che struggimento nostalgico, in attesa di riunirci al Padre Celeste. Ogni dolore nasce da una separazione. E la separazione radicale, ci ricorda san Tommaso d’Aquino, è quella da Dio. «Siamo nati e non moriremo più» ebbe modo di sottolineare, con profetica semplicità, Chiara Corbella Petrillo.
Adorazione eucaristica è la possibilità, già qui ed ora, di fissare gli occhi nel Padre attraverso il Figlio, che si è fatto tangibile con l’Incarnazione, in quel dialogo d’amore muto e silenzioso, come accade spesso tra innamorati, che non necessitano di parole per esprimere i propri sentimenti più profondi e più veri.
Circolava, nel web, un video, che, nonostante, sia, in realtà, una pubblicità di uno yogurt per bambini, trovo molto significativo: il ricordo del battito cardiaco fa sì che basti riascoltarne il suono per placare l’angoscia che, in un bimbo così piccolo, è del tutto normale, alla prospettiva di essere lasciato, anche per poco tempo, da solo, in un luogo estraneo.
Questo stesso sentimento dovrebbe scaturire da noi, quando ci poniamo di fronte alla Santissima Trinità. Il destino a cui siamo chiamati è “fare naso-naso” con Dio, ci ricorda Andrea Torquato Giovanoli, nel suo ultimo libro: è quell’intimità di coccole e carezze che conosciamo da bimbi e ci lascia in eredità cosa sia davvero l’affetto, quello capace di farti perdere il senso del tempo di fronte all’indescrivibile meraviglia di assistere al miracolo di un frugoletto che cresce, ti guarda estasiata, ti chiama Papà.
Il vangelo di oggi è una “festa delle preposizioni”: «le opere che ho compiuto in mezzo a voi», «lo Spirito che procede dal Padre», «darà testimonianza di me» (Gv 15, 24-27). Lo stare «con» noi di Gesù è manifestazione dell’amore di Dio, Di fronte al mistero della Trinità, le parole sembrano quasi mancare e allora provvediamo a moltiplicare le preposizioni, per provare a rendere meglio l’idea. La formula recita che si tratta di un unico Dio, in tre Persone, uguali e distinte. San Patrizio, quando evangelizzò l’Irlanda, parlando della Trinità, per rendere concreto un così alto disegno, prese un trifoglio, in cui, da un unico stelo, sorgevano tre distinte foglioline verdi. Ancora adesso, il trifoglio, a memoria di ciò, è simbolo dell’Irlanda, impartendoci una lezione bellissima: un vegetale tanto comune e diffuso nei nostri prati, si è fatto “custode” dei misteri di Dio.
«L’uomo è icona della Trinità (“facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”) e pertanto, per quel che riguarda l’amore, è chiamato a riprodurre la sorgività pura del Padre, l’accoglienza radicale del Figlio, la libertà diffusiva dello Spirito» (don Tonino Bello).
La parola chiave è proprio l’amore. «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9) è infatti la raccomandazione di Gesù. Solo così, potremo spenderci per il Regno di Dio e placare la nostalgia del Cielo.
(Letture festive ambrosiane, nella Solennità della SS. Trinità)
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