Terremoto in Siria: il sorriso sotto le macerie di Idlib

L’impatto umano

Il terremoto non è come altre disgrazie. Le sue macerie, non sono uguali alle altre. Le alluvioni e le frane, spesso, potrebbero essere prevenute con un lavoro sapiente di bonifica, di consolidamento dei pendii, di imprenditoria agraria lungimirante, di periodica pulizia dei torrenti (durante la stagione secca).
Non si può dire lo stesso del terremoto. Ci sono i criteri di edificazione antisismici, è vero. Ma chi conosce il Belpaese, sa quanto può essere inconciliabile il “conflitto d’interesse” che si viene a creare. Tutto l’Appennino è a rischio idrogeologico e approntare un piano di sicurezza lungimirante significherebbe, probabilmente, radere al suolo centinaia di centri storici dei numerosissimi borghi antichi, che costellano il Centro Italia. Perché, volendo prevenire scosse violente come quelle appena avvenute, non basta “puntellare” edifici già esistenti (tanto è vero che si parla di “mitigazione” del rischio idrogeologico, mai di suo annientamento).

Capovolgimento di prospettiva

Il terremoto ci impone un capovolgimento di prospettiva. Perché possiamo individuare le zone più o meno sismiche, possiamo tenerne conto per le future progettazioni edilizie, ma questo tipo di fenomeno porta inevitabilmente con sé un margine d’imponderabile. Che nasce dal fatto che, per sua natura la terra si muove. La sua storia ha ritmi diversi dai nostri: le sue epoche sono ere geologiche e i cambiamenti cui noi assistiamo direttamente sono quasi sempre impercettibili. Noi siamo, volenti o nolenti, “ospiti” di un sistema che segue leggi non sottomettibili. Ogni terremoto ne diventa doloroso promemoria, nonché invito a non illuderci di poter controllare tutto.

Il numero della speranza

108. L’unico numero che possa dare un po’ di speranza. È un conteggio tenace, lento, rigoroso, paziente. Che va avanti velocemente solo all’inizio, poi, inesorabilmente rallenta, fino ad un certo punto. Il momento (che tutti speriamo non arrivi mai, ma – inevitabilmente – arriva sempre).

Il numero del dolore

Quasi 35.000 sono le vittime del sisma che ha colpito Siria e Turchia. Decine di migliaia. È il numero delle vittime, che procede al contrario, rispetto al computo precedente. Prima lentamente, poi, purtroppo, sempre più velocemente, man mano che il tempo scorre e le possibilità di sopravvivere, sotto le macerie, diventano sempre più risibili.  Questa consapevolezza si fa pressante sui soccorritori. In emergenze come questa, la tempestività è tutto. Un ritardo, anche piccolo, può fare la differenza tra un uomo vivo oppure morto. Vite, fino a quel momento, tranquille, sono ora sul filo del rasoio, in bilico su un precipizio: aggrappate alla vita, guardano in faccia la morte per interminabili minuti, ore, giorni. Nella speranza, che, per molti, è disattesa. Chi vive? Chi muore? A volte la differenza si misura in millimetri. Variabili (la posizione, il piano dell’abitazione, il risultato dell’ultima o dell’assente restaurazione, l’età, le condizioni di salute o l’ultima scelta compiuta – “No, mamma, oggi non esco” –) che si sovrappongono per la sopravvivenza, oppure per la morte.

Non solo numeri

Numeri, solo numeri. Ma le persone non sono numeri. Sono tutti i loro legami, le relazioni, quei sogni che sono stati spezzati, o, almeno, messi in standby, quando la terra, tra Siria e Turchia, ha iniziato a tuonare, con rombi assordanti, che hanno buttato giù interi palazzi, devastato famiglie, causato lutti e dolore in tante comunità umane.

Il sorriso della gratitudine

Ce lo ricorda il sorriso di una bambina, estratta viva dalle macerie. Due sorelline, impaurite, spaventate, raggomitolate sotto le macerie, prima che i soccorritori potessero estrarle. A Idlib, in Siria, in uno dei tanti luoghi raggiunti dalla furia del terremoto.
La sorella minore è piccola, la paura sovrasta ogni altra emozione. Rimane lì, accanto a lei, con sguardo incredulo. La sorella maggiore, piccola donna già grande, le protegge la testolina in un abbraccio di conforto e d’incoraggiamento. A lei, la paura non ha cancellato la gratitudine: perché è di questo che riesce a colorare il sorriso che rivolge verso i soccorritori, che le si fanno incontro. È sicuramente esausta, disidratata, non ha forse nemmeno più le forze per piangere o gridare. Ma le è rimasta di una gratitudine muta, sincera, che va oltre gli esseri umani che le stanno innanzi.

La gratitudine che rimane, oltre alle macerie e al dolore

Il sorriso di Aala, in mezzo al dolore e alla speranza delle macerie, è un grazie gigante, è la gratitudine di chi ce l’ha fatta, di chi ha visto la morte in faccia, ma ha resistito, avvinghiato alla vita, anche solo per dare coraggio a chi aveva accanto a sé.
In una kermesse dello spettacolo, spesso incapace di mettere a fuoco la vera forza delle donne, una bambina ce la mostra con la potenza che hanno i gesti concreti. La vera forza è nella capacità di amore incondizionato, verso chi è fragile, debole e solo, non perdendo il sorriso grato di chi sa che ogni vita è dono.

Risiede qui la bellezza, insieme fragile e forte, di questa foto, che è un inno alla Vita!


Per approfondire: RAI news
Fonte immagine: La Stampa


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