Come gente condannata alla strada: perchè le barche sono state costruite per abitare il largo non per rimanere al sicuro nel porto. Direzione nord-ovest, verso Tiro passando per Cesarea di Filippo. Cafarnao e la sua gentilezza sono ormai distanti. Il meriggio del pane moltiplicato e del pesce condiviso sono storia già scritta: il cieco ha ormai terminato la sua riabilitazione alla vista: adesso vede alberi e tramonti, sguardi e paesaggi, alberi e gigli. Anche lo storpio è all’opera: nei pressi di una vigna o attorno ad un tornio poco conta, le gambe girano che sono una meraviglia. L’emoroissa non ha più perdite, il sordo avverte musica e parole, il tonfo della secchia nel pozzo e l’eco della Parola di Lui. Nelle vicinanze di Cafarnao lo volevano condannare alla corona: un Re così avrebbe risparmiato la fatica di vivere a tanti. Ma c’era una domanda che albergava nel cuore dell’Uomo di Nazareth: “chissà che immagine di Me s’è fatta la gente”. L’aveva posta giorni fa – appena sospettò che sul suo conto parlassero di magia e vaticini, superstizione e bigotteria – e qualcuno aveva mugugnato. Non si scompose più di tanto, li liquidò con quell’amabilità che Lo rese celebre: “Forse volete andarvene anche voi?”. Fiero, dritto, lucente: perchè le Parole, sopratutto quelle che interrogano, sono una terapia per Lui. Le maneggia a tal punto che il solo pronunciarle svela e incupisce, smantella e ricostruisce, inabissa e accende. A domanda lui risponde sempre con domanda, punti interrogativi organizzati per interrogare le presunte certezze dei Dodici, e dei loro discendenti: “Da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna”. Eppure non bastava: occorreva preparare quella piccola comitiva a non perdersi d’animo davanti alle spine, a non farsi scoraggiare dalla sagoma della Croce, a vestirsi di quel mantello scarlatto per aggrapparsi ai due pezzi di legno della Croce. Li ha portati nella strada per togliere loro ogni illusione: a Cesarea, lontano dai riflettori, soli sotto la cupola del Cielo e dei loro pensieri.
Gl’interessa cosa pensa la gente di Lui (liturgia della XXIV^ domenica del tempo ordinario): non è vanagloria o ambizione, è premura che si siano fatti un’immagine giusta di Lui e del Padre suo-nostro: “chi dice la gente che io sia?” Zac!: dritta, scomposta, interessata. Chissà che occhiate tra di loro i Dodici per raccontargli la confusione dei pensieri della gente: “alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri qualcuno dei profeti”. Poi li fissa squadernando il loro sguardo. Prima gli altri, poi loro: “voi, chi dite che io sono?” Perchè se pure in loro – compagni di viaggi e di dormite, testimoni di miracoli e risurrezioni, ascoltatori di parabole e misteri – l’immagine fosse offuscata, chi tramanderà l’eco di Lui? Undici tacciono (la paura di sbagliare è immane, ndr): forse qualche istante, poco di più. Li anticipa Pietro, esperto di sbagli e di pesche inaudite: “Tu sei il Cristo!”. Cioè “sei il Tutto, sei il mio Dio, sei Tu e mi basti”. Lui si volta verso l’amico pescatore e lo trafigge con lo sguardo: “e tu sei Pietro, e su questa pietra metterò in piedi la mia Chiesa” La costruzione edile più arrischiata della storia. Sulla gobba pesante di Pietro gli altri scorgono i lineamenti di una nuova costruzione: debole e patacca, fragile e luccicante, arrischiata e amabile. E’ opera di muratura disegnata da una Mano, da costruirsi a più mani. Occorre, però, cambiare tutto: basta Cefa, “ti chiamerai Pietro”. Il nome era tutto: discendenza, parenti, lavoro, esperienza, amici, affetto. Non si butterà nulla del passato, verrà ristrutturato. Come una vecchia casa facile alla demolizione.
Gli occhi stravolti dalla Bellezza: vederli quei Dodici sul ciglio della Speranza. Pronti allo sconvolgimento più inaudito: “cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva soffrire molto e doveva venire ucciso e che sarebbe resuscitato il terzo giorno”. Sulla strada li aveva condotti per prepararli a quella profezia finora rimasta sulle sue labbra. Parla loro con precauzione, avanza passo passo, usa la dolcezza dei giorni migliori. Un intervento di altissima chirurgia: è necessario correggere l’immagine di Lui. A guardarli nel volto l’ansietà aumentava, le labbra davano segni di tremito: “cosa dice costui?!”
(dall’intercettazione di un dialogo al camposcuola tra il capo-animatore Pietro di Galilea e il leader della truppa Gesù di Nazareth)
“Attento Pietro, i piedi per terra: dovrai far fatica, i ragazzi te li dovrai conquistare, non ti staranno sempre appiccicati, sarà dura, all’inizio sarai gasatissimo, poi dovrai essere costante, sarai chiamato ad essere animatore sempre, anche se hai la giornata storta, dovrai essere umile, fedele, innamorato. Ci sarai quando il bello finirà? Anche nella giornata del Calvario?”
“Che dici, Maestro: non ti fidi di me? Certo che ci saremo, eppoi non serve essere animatori tutti i santi giorni. Permetti, se un ragazzino mi sta antipatico non posso stare con lui, ci penserà qualcun altro!”.
“Vattene Satana. Fuori dal mio Oratorio, tu non hai capito niente, tu non accetti la mia proposta, non desideri diventare animatore cristiano, ma animatore a modo tuo non ti voglio nel mio Oratorio, fai qualcos’altro quest’estate!”
“Maestro, ragiona. Pensaci un istante: che farai senza di noi?”
“Forse volete andarvene anche voi?”Pietro lo guarda, Lui non molla. Qualche smorfia sul volto del pescatore: fino alla fine prova a barattare il Cielo con la Terra, i suoi sogni con quelli dell’Altro, il suo oratorio con il Regno di Lassù. Lui non cede ed accende nella memoria di Pietro il film di quell’altro giovane che tentò la scorribanda nel Vangelo. Pietro lo scorge appena dietro l’angolo mentre abbassa la testa, gira i tacchi e se ne va via triste. Triste. Perché capisce che gli era stata offerta un’occasione che non si ripeterà più. Nella vita nulla si ripete! Le ore, i giorni, gli anni e ciò che essi offrono non sono né fotocopiabili, né riciclabili. Sono unici e irripetibili. Sempre! O li firmi, o li vivi da protagonista, o li perdi. Triste. Perché intuisce che rimarrà “un tale”: uno dei tanti, uno del gregge, uno che segue la corrente. Perché solo chi ha il coraggio di firmare la propria vita ha il diritto e la gioia di essere chiamato per nome! Pietro s’arresta sul volto di Cristo mentre contempla quel giovane andarsene: ma cosa fa? Non prova assolutamente a fermarlo, non cerca di convincerlo abbassando il prezzo. Lo lascia andare via. Rispetta la libertà di quel giovane come quella di tutti. Non c’è gioia senza libertà!
Li contemplarono in mezzo alla strada: attoniti e muti, stupiti e increduli, anticipati e spiazzati. Pietro indietreggia a testa china. Gli altri non accennano a riprenderlo: ha parlato anche a nome loro. Solo uno, l’uomo di Keriot, pensava tra sé: “il Maestro comincia a diventare violento, non si domina più”. Nacque lì, al crocevia di una strada polverosa, il primo passo di Giuda: non accettava più un Maestro debole e perdente. Gli altri ci pensarono a lungo, Pietro compreso. D’altronde la sfida era ardua tanto quanto la promessa: “ti chiamerai Pietro” gli disse l’Amico. Non gli disse “ti chiamerai Pierino!” Perchè Pierino – leader incontrastato delle barzellette e delle arguzie – nasce per far ridere ai bordi delle strade. Pietro – nome trasformato da Lui – nasce per far sbocciare al centro della storia la nostalgia di Lui. Il Vangelo di Pierino è quotatissimo nelle ore di catechismo per fare il solletico. Ogni tanto Gesù ricorda a Pietro e ai catechisti il suo vero nome: diminutivi, vezzeggiativi e superlativi a Cristo non sono mai andati a genio.
Forse per questo un giorno lo metteranno a morte. E lui sorprenderà fino in fondo.