sguardoIn cucina una giovane mamma stava preparando la cena con la mente totalmente concentrata su ciò che stava facendo: preparare le patatine fritte. Stava lavorando sodo per preparare un piatto che i bambini avrebbero apprezzato molto: le patatine fritte erano il loro piatto preferito. Il bambino più piccolo, quattro anni, aveva avuto un’intensa giornata all’asilo e raccontò alla mamma quello che aveva visto e fatto. La mamma gli rispondeva distrattamente con monosillabi e borbottii. Qualche istante dopo si sentì tirare la gonna e udì: “Mamma…” La donna accenno di sì col capo e borbottò qualche parola. Sentì altri strattoni alla gonna e di nuovo: “Mamma…”. Ma lei continuava imperterrita a sbucciare le patate. Passarono altri cinque minuti. Il bambino si attaccò alla gonna della mamma e tirò con tutte le sue forze. La donna fu costretta a chinarsi verso il figlio. Il bambino le prese il volto fra le manine paffute, lo portò davanti al proprio viso e disse: “Mamma, ascoltami con gli occhi!”.
Ascoltarsi con gli occhi perché tutte le cose importanti passano attraverso gli occhi. Ascoltare qualcuno con gli occhi significa dirgli: “Tu sei importante per me”. Se l’Ascensione è la presentazione fatta da Gesù al Padre della sua Sposa, se la Pentecoste è il regalo – nozze più discusso firmato dal Padre, la festa della Santissima Trinità è questo gioco di sguardi tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Quasi a dire: studiamo la tattica per dare continuità a quest’Amore. Non pensi a quello che dici mentre dipingi il segno della croce sul tuo corpo? “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Eccole qui le ragioni della nostra comunione. Nel fatto che la Chiesa è l’immagine della Santissima Trinità.

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
(Dal Vangelo di Giovanni cap. 3 vv. 16-18)

Sono persone. Non cifre. Non codici fiscali. Non numeri di matricola apposti sulle casacche delle nostre tute da lavoro. Siamo persone, non barattoli gettati da Dio sulla terra destinati a ruzzolare sotto i calci dei bambini. Sono persone uguali. Adesso capite dove si attacca tutta lo spasimo e l’insistenza della Chiesa quando annuncia l’uguaglianza? Siamo tutti uguali! Non ci sono uomini di serie A e uomini di serie B. E’ il mistero trinitario che ci interpella ogni volta che scorgiamo segni di ingiustizia nella cronaca quotidiana. E’ il mistero della Trinità che ad ogni uomo imprime il sigillo dell’uguaglianza con Dio. Sono persone uguali e distinte. Ogni uomo ha il suo volto e la sua storia, i suoi sogni e le sue fatiche, le sue aspirazioni e le sue paure. E’ un identikit intrasferibile. Dio ci conosce per nome, non per sigla. Ci chiama per nome uno ad uno. “Non ti dimenticherò mai. Ho scritto il tuo nome sul palmo della mia mano” (Is 49,15-16). Sapere che questa frase di Isaia Dio la ripete a te, a me, a tutti fin da quando siamo stati concepiti nel grembo materno, non può non alzare la soglia del nostro rapporto con Lui. Lui che, come dice il profeta Baruc, “chiama le stelle per nome, ed esse gli rispondono eccomi brillando di gioia” (Ba 3,34-35), Lui che non deposita negli archivi i nostri volti, ma li sottrae all’usura delle stagioni illuminandoli con la luce del suo volto. Lui che non seppellisce i nostri nomi nel parco delle rimembranze, ma li evoca uno ad uno dalla massa indistinta delle nebulose e, pronunciandoli, con la passione struggente dell’innamorato, li incide sulle rocce dei colli eterni.
“O Signore nostro Dio, quanto è il grande il tuo nome su tutta la terra” (Sal 8,1). Perché i bambini leggono questa scritta su tutta la curva del cielo, da oriente ad occidente, vedono il mare in tempesta o il firmamento d’agosto, il colore dei fiori sui crepacci e l’incantesimo delle vette innevate, lo struggimento degli alberi nella bufera e lo splendore negli occhi di una donna. Perché i bambini sì e noi no? Perché loro specchiandosi negli occhi di Dio si scoprono poeti e noi mercanti in cerca di contraffazioni?
L’inatteso di Dio. Ovverosia l’unico Allenatore che ha compreso che nel collettivo della squadra le differenze vanno accentuate, non confinate. Per colorare di novità un’umanità affezionatasi al grigio-nero.

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