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Blasfemo. Orribile. Da scomunica. S
embrano improperi degni di un atto terribile contro l’umanità e contro Dio. Sono invece i commenti dinanzi ad un presepe che in questi giorni sta suscitando discussioni e dibattiti. Si astengano gli amanti della dolcezza: Maria, stesa a riposare, dorme tranquilla mentre Giuseppe contempla e culla tra le braccia un Gesù neonato che sbadiglia di gusto; che scandalo questa scena di ordinaria quotidianità!
Come osa la Madre addormentarsi? Come osa la Corredentrice non rimanere inginocchiata in adorazione perenne, ventiquattr’ore su ventiquattro, immobile come una statuina da presepe? Ma, soprattutto, come osa Giuseppe, il Giusto, cullare il Verbo fatto carne come fosse un bambino come tutti gli altri?
A queste domande verrebbe quasi da ridere, se non ci fosse già da piangere, perché esse sono davvero state esternate con convinzione totale che non lascia nemmeno uno spiraglio aperto per qualche atomo di tenerezza.
Cos’è, per i cristiani, il presepe?
Una semplice rievocazione e rappresentazione storica della nascita di Gesù? Se il presupposto è questo, facciamo attenzione: la quasi totalità dei presepi del mondo riportano delle inesattezze macroscopiche. Sì, anche quello che sta sul ripiano accanto a voi (e a me). Ci si passa sopra con estrema facilità, proprio perché questo fermo immagine della notte in cui il Verbo venne al mondo come uomo ha tutt’altro scopo.
Come per la Pasqua, anche la notte di Natale è un memoriale. Che non è un semplice ricordare, ma un rivivere vero e proprio, un tornare a quel momento con gli occhi dello spirito (o con i famigerati “piedi teologici” che tanto piacevano al nostro professore di Sacramenti).
Oggi è nato per voi un Salvatore.” (Luca 2,11)
Il Natale entra nella storia dell’umanità, ma rimane ancorato all’eternità da cui proviene, per questo quell’oggi può risuonare squillante tanto ai giorni nostri quanto duemila anni fa.
Dio chiede di nascere ogni giorno nel cuore dell’uomo, nella sua quotidianità, nei suoi passi accanto a quelli dei fratelli.
Ecco allora il significato originario del presepe: non una semplice rievocazione, né una sorta di foto ricordo, né tantomeno un semplice addobbo. E’ invece una porta spalancata su un Amore che s’è tuffato dal cielo alla terra, per abbracciare il nostro quotidiano e renderlo qualcosa di incredibilmente bello. Anche quel quotidiano, come un sonno ristoratore calato sugli occhi, magari dopo ore di veglia colma di meraviglia e preghiera; o come un abbraccio quasi furtivo dato da una creatura di nome Giuseppe al suo Creatore fatto bambino.
La Misericordia per prima non ha avuto paura della tenerezza. Se l’è anzi cucita addosso, come carne di neonato da poco venuto al mondo. Se la terrà fino alla fine, pregando per i suoi uccisori dal legno di una croce e aprendo il suo “oggi” ad un ladrone che mendicava amore in punto di morte.
Facciamo altrettanto anche noi. Impariamo a rivestirci e rivestire il nostro fare, guardare, pensare con l’abito della tenerezza. Scopriremo che anche un semplice presepe quasi fuori dall’ordinario è invece una encomiabile lezione d’amore.

 

Credits Immagine: Aletheia

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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