Purtroppo non sono felice d’essere prete: questo te l’assicuro, amatissimo Peppone, e te lo anticipo per evitare ogni fraintendimento: l’unico mio dogma dimostrabile anche per assurdo.
Ma di una cosa ne vado orgoglioso: sono prete perchè sono un ragazzo felice. E questo vale molto di più che essere prima preti e poi felici. Non sarei io, dai! Tipo Alex Schwazer, quello da Vipiteno: “Non sono felice d’aver vinto, ma ho vinto perchè sono felice”.
Tutto semplice, tutto complicato, tutto tremendamente bello: è la mia vita.
Lo sport m’ha salvato dalla strada: altra certezza, condivisa pure dal medico e dallo psicologo. La strafottenza del carattere, l’irruenza del fisico e la potenziale pericolosità di mille talenti solo grazie alla pratica sportiva hanno custodito la mia giovinezza, stanno salvaguardando il mio sacerdozio (celibato compreso), spero salvino in aeternum la mia matta voglia di vivere e di colorare le strade. I miei inizi stanno nel calcio: ma sono durati la bellezza di due giorni, a sei anni. Il tempo di una sostituzione mal accettata e le scarpette se ne sono andate subito al chiodo: se io m’alleno voglio giocare. Punto e a capo.

Addio agli sport di squadra: meglio correre soli, magari controvento. Prima il ciclismo, poi la corsa: perchè Dio io l’ho scoperto assieme al vento in faccia di un’acquazzone, all’agonismo della gara, a quel solitario allenarsi che costringe un atleta a guardarsi dentro, fin nell’abisso dell’anima. E se la mia fede è nata fuori dai templi, là fuori la farò vivere ed esplodere.
Ogni maratoneta sogna New York, anche Tullio, il ciccione che abita nell’osteria del mio paese. Io un giorno gliel’ho pure chiesto a Lui di farmi andare: a patto che c’avesse un senso. Ho dovuto sorbirmi la gavetta degli inizi: pettorali alti, griglie affollate, allenamenti massacranti. In quattro colpi ho scritto 2h 48′. Quel giorno mi telefona il Gasparotto della Gazzetta. Forse c’era lo zampino dell’atleta Zanardi, il guru dell’impossibile. Una telefonata e una pizza (bresaola, rucola e grana) vicino alla sede della Rosa. Sono entrato nel locale con la mia fede stretta, per paura che me la rubasse, lui ex-ciccione-Peppone convertitosi alla pratica sportiva.
Non cercavo il proselitismo, volevo un’occasione ecumenica. Cosa puntualmente successa.
Tutto ciò che ci racconteremo non è altro che il diario di bordo di due ignoti diventati amici con il patrocinio della corsa. La fede ha tante accezzioni: la mia è quella che spiega di un uomo che ha trovato la sua gioia nel leggere la sua strada con gli occhi verso il Cielo. Si può anche guardare solo la terra: salviamo almeno il bisogno d’aprire gli occhi. Strada facendo si sono aggiunti gli amici della De Agostini Scuola ad ingigantire la sfida (che ovviamente non vi racconto all’inizio). E ho scoperto che la mia fede chiede d’essere giocata creativamente. Per rimanere in forma.
Lo giuro, Peppone: se quel giorno vincerò la scommessa sarà perchè nei muscoli non ci sono solo carboidrati e tanti allenamenti. Ma perchè c’è un senso bello: partire dal mio sacerdozio per mostrare ai giovani l’altra faccia della giovinezza.
Quella che, allenandola, ti racconta l’orgoglio d’essere vivi e combattenti! E allora New York sarà solo il punto di partenza di un’avventura strepitosa.

 

Tuo affezionato
Sacerdote Camillo Runner

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