Le tre letture che la liturgia ambrosiana propone ruotano intorno all’argomento del potere politico e del suo legame con la religione.
La prima lettura ci mostra Samuele alle prese con la caparbietà d’Israele. Il popolo insiste infatti per avere un re “come tutti gli altri popoli e non c’è nessun ammonimento che li convinca a comprendere che, quando sei unico non c’è alcun bisogno di essere come gli altri. Irretito dal fascino del potere, dalla politica e dall’ambizione del potere, reclama a gran voce un re. Eppure, la promessa era che il Signore non li avrebbe abbandonati e sarebbe stato Lui il loro Re. Che cosa desiderare di meglio?
Quando la nebbia avvolge il nostro cuore, rischiamo di essere incapaci di vedere ciò che ci è posto innanzi agli occhi e cerchiamo sempre qualcosa che va oltre, illusi che il potere temporale possa supplire a ciò che riempie il cuore e l’anima.
Eppure, è interessante notare come il Signore Dio scelga di lasciare fare. Ci sono tappe nella vita di ogni uomo, come nella vita del popolo di Dio, in cui è necessaria una crescita graduale. Alle volte, è indispensabile “sbatterci la testa”, per comprendere appieno le cose. I “NO” aiutano a crescere, ma non da soli. Servono anche dei “sì condizionati”: sai benissimo che dire «Sì, ma stai attento» si rivelerà fiato sprecato. Tuttavia, in quell’attenzione, è nascosto il “cuore dell’azione educativa: quel saper stare un passo indietro, pronto a raccogliere il figlio impavido con il ginocchio sbucciato od a porre la mano dietro la testa del figlio spericolato. Si può dire un No, ma, alle volte, è maggiormente necessario accompagnare nella scoperta del perché di un no.
Ecco quindi, che, nella storia del popolo d’Israele, a fronte dell’incapacità dei figli di Samuele (Gioele e Abia), Dio accetta di porre il proprio Spirito sui re: Saul, Davide, Salomone.
Anche Israele avrà i propri re, ma resterà il popolo prescelto, cui non mancherà l’appoggio ed il sostegno del proprio Dio,
L’epistola paolina pone al centro la vita politica come utile al bene comune, per questo «raccomanda […] che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per tutti i re e per quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Tim 2,1-2): sicuramente, c’è l’influenza delle persecuzioni, di cui sono vittime i primi cristiani, ma è anche fortemente indicativo del rapporto tra i cristiani e la politica. Se, da una parte, è bene non rimangano invischiati nelle maglie del potere e nelle sue lusinghe («Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse […].Tra voi, però, non sia così; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo», cfr. Mt 20,25-26), dall’altra, però, bisogna sottolineare ch eun cristiano non può essere esente dalla vita civile. È giusto si interessi alla vita civile e ne prenda parte, come meglio riesce, compatibilmente ai propri impegni: non meno impegni, che si ricordi di pregare per chi governa. Non può avere un atteggiamento fatalista: nulla accade per caso, al massimo succede qualcosa che noi non comprendiamo, ma è sempre possibile chiedere l’aiuto e la protezione di Dio, affinché possa sostenere i nostri sforzi, in vista del bene comune della comunità civile tutta intera, che comprende anche i cristiani. Ditreo questa richiesta c’è la consapevolezza che la pace e la concordia siano obiettivi da perseguire, per garantire alle generazioni future un avvenire sereno: è difficile parlare del Re dei Re, se I governanti terreni terrorizzano o opprimono. Come sperare nella possibilità di un Dio Creatore, magnanimo, buono, misericordioso e giusto, che vuole il nostro bene, perfino quando noi non lo vogliamo e non ne comprendiamo il senso?
Il Vangelo riporta infine il discorso – probabilmente – più “politico” di tutta la predicazione di Gesù. La domanda «È lecito o no pagare il tributo a Cesare?» e la successiva risposta sono forse, in assoluto, l’inaugurazione del concetto di laicità dello Stato e di separazione del potere politico da quello religioso.
Ogni persona, dai 12 anni (se donna) o 14 (se uomo), fino ai 65 anni, deve pagare all’erario romano un danaro d’argento all’anno (testatico), equivalente ad una giornata di lavoro. Per esigere questa tassa Roma indice i censimenti. E per il popolo d’Israele il censimento è già per se stesso un grave atto contro Dio poiché significa sottrarre il popolo alla proprietà di Dio per considerarlo propria proprietà. Lo aveva già sperimentato Davide mille anni prima. “Ma dopo che ebbe contato il popolo, il cuore di Davide gli fece sentire il rimorso ed egli disse al Signore: «Ho peccato molto per quanto ho fatto; ti prego, Signore, togli la colpa del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza» (2Sam 24,10). Il censimento è considerato, perciò, strumento di dominio, potenza e sfruttamento, orientato al pagamento di una tassa, segno concreto della dipendenza.
La domanda posta a Gesù non è – solo – capziosa, bensì, esprime anche e soprattutto il gemito del popolo opprresso dal dominio romano, che vede messe in discussione le proprie libertà, legate al monoteismo ed alla fedeltà (non sempre biunivoca) del Signore.
Cristo, però, amplia la visione. Ci sono libertà che vanno oltre. Non può bastare una tassa ingiusta e mal sopportata (ma, in fondo, quale tassa è ben accetta?) a cancellare, distruggere o anche solo svilire la libertà individuale. C’è la libertà dei figli di Dio, che va oltre le oppressioni politiche, l’insoddisfazione della società civile. Ci sono sempre spazi disponibili, per i figli di Dio che intendono collaborare alla costruzione del Regno di Dio, partecipando al progetto del sogno di Dio sull’uomo.
Ci sono piccoli passi possibili, in ogni luogo, tempo e situazione: è Madre Teresa a suggerirci che, piuttosto che cercare consolazione, talvolta ci dona maggiore sollievo trovare qualcuno da consolare: fare un passo indietro, rispetto al nostro ego può non essere immediato né immune da sacrificio.
Ma talvolta, innanzitutto a livello umano (cioè: senza fare immani sforzi di immaginazione, bensì affidandosi all’esperienza concreta) si rivela la soluzione migliore, per poter ritrovare la serenità, oltre che la libertà vera, quella propria dei fgli di Dio, che hanno imparato dal proprio Dio che, per dare la vita, bisogna rinuncia a qualcosa: è sempre necessaria una morte (almeno parziale) per poter assaporare la bellezza di una nuova nascita!
Rif: Letture festive ambrosiane, nell’VIII Domenica dopo Pentecoste (anno C) – 1Sam 8,1-22; 1Tim 2,1-8; Mt 22, 15-22
Fonte: don Raffaello Ciccone, Parole Nuove
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