Foto Moratoria
Amava fare-la-cresta alle cose: all’asfalto, alla costruzione di un viadotto, ad un litro d’olio, ad un chilo di farina, ad un sacco di grano. Se il mondo è fatto di scale, lui amava prendere l’ascensore. Così facendo, s’ingrassò lui ingrossando le sue tasche. Si comportò come fosse il padrone, pur sapendo di non esserlo, ma amando in cuor suo d’esserlo comunque. Poi, una mattina, il patatrac«Che cosa sento dire di te? – è la voce del padrone – Rendi conto della tua amministrazione, perchè non potrai più amministrare». Afferrò al volo la questione: certa gente non si rende conto che potrà credersi furba proporzionalmente a quanto l’altro sarà disposto a fare il fesso. Il mondo, tutto d’un tratto, gli crolla addosso: «Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?» E’ rimasto solo contro tutti: contro il mondo, contro se stesso. “E’ furbo, però!” dirà qualche lettore un po’ inacidito. A lui la furbizia giovò molto, fin quando la confuse con l’intelligenza. Poi, faccia a faccia con il suo padrone, scoprì cos’era per davvero quella furbizia: una forma di intelligenza marcia. Una scorciatoia: «Che cosa farò?» Che ne sarà di me? Tutto sbagliato, tutto da rifare.
Apre la rubrica, cerca il faccia-a-faccia coi debitori, li convoca da lui, inizia una trattativa inaspettata: devi cento barili? «Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta». Dopo l’olio, il granturco: da cento misure a «scrivi ottanta». La moneta gli era diventata una condanna: si sedette, prese la moneta e la rivoltò per cercare l’altra faccia. Riciclò il denaro sporco e lo sciacquò nella carità: si fece moneta di denaro pulito. “La volpe perde il pelo ma non il vizio!”, si saranno detti i colleghi in corridoio notando che i debitori, stranamente, se ne andavano con il sorriso stampato sulla fronte: un debito dimezzato è un mezzo guadagno di cui andare felici. Han ragione loro, signori: non perse il vizio di trafficare ad arte la moneta. Il pelo, però, se n’era andato dallo stomaco: trafficò ancora male ma, fu scaltro stavolta, lo fece per rendere felici gli indigenti. Capì, peccatore com’era, che l’eternità è una cosa seria – «Che cosa farò?» -: non s’improvviserà, sarà la conclusione di ciò che decidiamo d’essere quaggiù. “Se la fece sotto sentendo il padrone urlare!” continuano a borbottare i detrattori: a furia di veder diffondersi la disonestà, si diventa guardinghi e dubbiosi di fronte a semplici gesti di cortesia. Se anche fosse? Ci sono spaventi che risvegliano, incidenti che salvano. Fosse stato soltanto furbo, avrebbe aspettato sulla riva il passaggio del cadavere: «Uno assiste l’amico ammalato: bravo! Ma lo fa per ereditare: è un avvoltoio che aspetta il cadavere – scrive Lucio Anneo Seneca -. Le medesime azioni possono essere oneste e disoneste: ciò che conta è il perchè, il modo in cui son fatte». Più che di furbizia si trattò di scaltrezza: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perchè aveva agito con scaltrezza». Si accorse, sbandando, che soltanto l’amicizia del povero avrebbe potuto tornargli utile domani: “Nessuno va in cielo se un povero non gli apre la porta” hanno scritto su un muro della nostra patria galera.
Il padrone mica lodò la sua disonestà ma nemmeno si scandalizzò più di tanto. Ammirò, questo sì, la scaltrezza di mettere la disonestà a favore dell’altro: «Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, – scrive Papa Francesco nell’esortazione Evangelii Gaudium – può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (EG). Ecco la materia farsi spirito, il debitore diventare amico, la salvezza spalancarsi davanti: domattina, lassù in Paradiso, quell’amministratore corrotto potrà vantare l’intercessione di un gruppo di debitori condonati che, a Dio, metteranno una buona parola sul suo conto.
Diventerà santo pure questo? “Quando muoiono sono tutti santi” dicono in paese col ghigno sulle labbra. Chi lo sa? Intanto si è rimesso sulla rotta di Dio: «Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità – recita un proverbio d’Arabia -. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero».
La scaltrezza è una strada per il cielo: questo è molto buono a sapersi.

(da Il Sussidiario, 21 settembre 2019)

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Luca 16,1-13).

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