Un giorno una donna portò il figlioletto dal Mahatma Gandhi e gli domandò: “Mahatma, digli di non mangiare più dolci”. “Abbi la bontà di tornare fra tre giorni” rispose Gandhi.
Tre giorni dopo la donna tornò con il bambino e Gandhi disse al bambino: “Non mangiare più dolci!”. La donna domandò: “Perché ci hai fatti aspettare tre giorni per dire soltanto questo?”. Il Mahatma rispose: “Perché tre giorni fa anch’io mangiavo ancora dolci”.
In verità Pilato non era nato burocrate. Aveva avuto buoni maestri: era un ragazzo vivace d’ingegno e d’indole. La filosofia era il suo talento. O forse la scena: i bei dialoghi, le frasi ben alternate, senza retorica ma pregnanti. Non era nato burocrate, ma ormai lo era diventato. Amministrare la giustizia è un affaraccio in un paese di fanatici, ipocriti e superbi insieme. Aveva capito che senza interessi non si governa e non si siede in tribunale. I barbagianni gli conducono Gesù di Nazareth. Glielo conducono presto, perché lo processi. Dicono che quell’Uomo sia un sovvertitore, che impedisca di pagare il tributo a Cesare, che affermi di essere re. Lo interroga e lo scopre di bell’aspetto, mite e fermo nel guardarlo, un uomo inconsueto. Quanto al re, gli risponde che è re, ma il suo regno non è di quaggiù. E Pilato viaggia sull’ironia, pensando di essere davanti ad uno dei tanti miserabili che la storia ha partorito. Mah! Se è un sognatore, un mistico non si capisce allora perché abbia una ciurma di gente che pende dalle sue labbra, perché giri per le piazze e si mescoli al popolo. Soprattutto non si capisce perché pesti i calli ai gerarchi della sua nazione. Ma ribadisce chiaramente di essere re. Anzi, puntualizza: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla Verità. Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce”. La verità è che quell’Uomo aveva qualcosa. Con la concretezza del romano e la spregiudicatezza del filosofo, Pilato era stato alquanto sedotto dal Nazareno.
Puntualissima la precisazione di Gesù alla risposta di Pilato! “Tu lo dici” e subito dopo chiarisce: “il mio Regno non è di questo mondo”. Non ha le sfumature di un progetto politico, non è un sistema di potere, non profuma di strategie militari. Loro s’aggrappanno all’ingegneria militare, alle guardie del corpo, alle legioni terrene, Lui fa sfoggio della sua solitaria debolezza orfana di oppressione, di sopraffazione, di menzogne. C’è un piccolo seme nascosto nelle viscere della terra, dentro al solco della storia, nel cuore dell’umanità… ed è un seme indistruttibile. C’è una gemma che si sta colorando nel freddo dell’inverno, anche se ne nessuno ne coglie i suoi passi. C’è un mantello di grano che sta germogliando, ma i nostri orecchi sono distratti dal tintinnio delle lancette dell’orologio. C’è un sogno che si sta dischiudendo, anche se siamo tutt’intenti nei nostri scarabocchi. “Non temere, piccolo gregge, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno” (Lc 12,42).
C’è un procuratore romano che accusa e un Uomo galileo accusato. Mi fa tenerezza questo Gesù oggi. Anzi: mi fa paura! Peggio ancora: mi mette con le spalle al muro perché il Cristo che oggi adoriamo, al tramontare di quest’anno liturgico, non è un Gesù Cristo tranquillo, pacifico, buono, dolce, remissivo, con il collo inclinato sulla spalla destra e con gli occhi celesti languidamente rivolti verso il cielo. Tutt’altro! E’ un uomo deciso, convinto, libero che spinge in avanti l’umanità senza armate o potenze eppure riesce a seminare paura in mezzo alle file del male.
“Chiunque è nella verità ascolta la mia voce!” Ma se stamane lo troviamo al cospetto di Pilato è segno che qualcuno non ha ascoltato la sua voce altrimenti avrebbero combattuto perché non fosse consegnato. Qualcuno?! Mah…forse anch’io. Certo: anch’io! Per questo oggi, se potessi tirare il mantello di quel Nazareno finchè Pilato si distrae per lavarsi le mani, gli direi semplicemente grazie. Non so se per commozione, convinzione o rimorso. Semplicemente grazie!
Grazie perché non ti è ancora venuto il voltastomaco per i miei peccati. Perché continui a nutrire fiducia in me, pur vedendo che tante altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni. Grazie perché non solo mi sopporti, ma mi fai capire che non sai fare a meno di me. Perché con me adoperi infinite tenerezze e mi preservi da impietosi rossori. Perché mi fai celebrare l’eucaristia anche quando la coscienza della mia povertà mi fa sprofondare nella vergogna. Grazie perché se mi fai sperimentare la povertà della mietitura e mi fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, è per dimostrarmi che mi vuoi bene, che non vuoi espormi al ridicolo di fronte alla storia. Grazie perchè continui a custodirmi gelosamente, anzi a nascondermi, come fa la madre con i figli più discoli, perché non mi svergogneresti mai davanti alla gente e non fai venire meno davanti agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, ai tuoi occhi sono prezioso. Grazie perché, anche se non capisco, continui a scommettere su di me, non mi avvilisci per le mie inefficienze, perché al tuo sguardo non c’è bancarotta che tenga, perché nonostante il deficit di cattiveria contenuto nelle lettere che ricevo non mi fai disperare. Anzi, mi metti nell’anima un così vivo desiderio di recupero che già vedo il nuovo anno come spazio di speranza, tempo propizio per nuove semine, terreno su cui rischiare assieme a te!
“Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza.
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi, la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
Ti salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te.
Io sì, che avrò cura di te” (F. Battiato, La cura, da L’imboscata 1996)
Percorreremo assieme le vie che portano alla Verità e tu, Dio, non mi abbandonerai. Perché per te sono un essere speciale, e Tu avrai cura di me!
Buon fine anno liturgico.
Arrivederci all’Avvento!