OBI

È il 1994, quando, con profetica intuizione, Giovanni Paolo II decide d’indire l’Anno Santo della Famiglia. In quel periodo, nei Balcani, imperversa una guerra, sanguinosa, violenta, fratricida, che distrugge campi, città e mise in ginocchio intere regioni. Più a fondo, come sempre, le ingiustizie più grandi gravano sui più piccoli: i bambini soprattutto, gli anziani in secondo luogo. I profughi sono innumerevoli, i disabili e gli invalidi si moltiplicano, anche a causa delle numerose mine scoppiate, durante quel conflitto.
Già dal 1992, suor Josipa e suor Kornelia Kordic, tornando a Međugorje, loro paese natale, si rendono conto di quante ferite aveva inferto la guerra alla popolazione civile e iniziano a darsi da fare. Nel 1993, con l’aiuto di tecnici e volontari, l’idea strampalata e assurda (“voce di uno che grida nel deserto”): l’impegno di “costruire, dove gli altri distruggono”, a Citluk, un paese limitrofo a Međugorje.
Il 12/10/1994 è fondata la Comunità delle Sorelle della Famiglia Ferita. Vivendo unicamente di Provvidenza, senza ricevere alcun sostegno da enti pubblici (in Bosnia, l’assistenza sociale non esiste), la struttura cresce e s’ingrandisce, diventando punto di riferimento per l’accoglienza di tanti orfani (i primi hanno vissuto più direttamente le conseguenze della guerra, attualmente ne vivono le conseguenze, in povertà ed abbandono). Un aneddoto spesso ricordato, a sostegno di come la Provvidenza abbia agito, è quello di avere ricevuto in dono carrozzina ed altro materiale per neonato, appena prima di ricevere richiesta di accoglienza per uno di essi.
Colpita da grave malattia, suor Josipa muore nel 2003, ma la sua opera prosegue tutt’ora, sotto la guida dell’energica e carismatica sorella, suor Kornelia, che ha risposto ad alcune domande.

1 – Qual è l’origine di questo luogo? E quale il suo attuale compito?

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Nella vigna che era di mio padre, ora c’è la vigna del Signore. La nostra vita è basata sulla fede, sull’amore e sulla Provvidenza e, ringraziando Dio, non ci manca mai niente. Dove ora c’è la chiesetta, nei primi tempi c’era una tettoia, dove mangiavano i bambini. Ora gli spazi si sono molto ingranditi, rispetto agli inizi. Attualmente, i nostri ospiti sono 103, con un’età che va dai 2 mesi ai 25 anni. Viviamo ora le conseguenze della guerra, che si concretizzano negli abbandoni. I nostri ragazzi dell’orfanotrofio, arrivati alla maggiore età, possono continuare a studiare, se vogliono. Ne abbiamo due che stanno studiando: una ragazza si sta specializzando in oncologia, mentre un ragazzo sta conseguendo il dottorato in arte. Qualcuno mi porta il ragazzo o la ragazza da approvare: dopo aver fatto da madre e da nonna, ormai sono diventata… suocera!

2 – Che ruolo ha avuto suor Josipa?

Francescana, è stata la fondatrice di questo centro. A cui ha contribuito anche il nostro fratello sacerdote, così che fosse, propriamente, una casa-famiglia. Prima di morire, è stato suo desiderio che ci fosse un centro per anziani, così che i bambini avessero dei nonni. Adesso, quando noi diamo agli anziani i biscotti e ai bimbi le caramelle, finisce che se li scambiano e non capisci più chi sia il fanciullo.

3 – Che rapporto c’è tra questa comunità e i pellegrini che vengono a Medjugorje?

Non c’è alcun rapporto diretto con il “fenomeno Medjugorje”. Questo luogo è sorto in vista dei bisogni sorti con la guerra e, se è sopravvissuto, è stato grazie alla Provvidenza, che, molto spesso, aveva il volto degli italiani, che hanno sempre mostrato grande generosità nei nostri riguardi.

4 – Che ricordo rimane di Roberto Bignoli, recentemente scomparso?

Lo abbiamo conosciuto negli anni Novanta e veniva qui spesso. Era un esempio unico di bontà, di semplicità e di fede.

5 – Cosa dovrebbe contraddistinguere un cristiano, affinché sia “luce del mondo”?

Se taci, taci per amore. Se parli, parla per amore. Se correggi, correggi per amore. Se perdoni, perdona per amore. Tutto è in vista del Regno dei Cieli.
La fede è basata sull’amore e poi… pedala! Non è tutto nero, come vorrebbero farci credere. Il bene c’è, soprattutto nei giovani. Bisogna essere esigenti con loro, per il loro bene.
Ma partire sempre dal lavoro su stessi: pregare perché io diminuisca e Lui cresca e perdonare sempre, prima se stessi, poi gli altri.
Cerchiamo di brontolare meno in famiglia e di pregare di più, perché la lingua non ha le ossa ma spezza le ossa: cerchiamo di non spezzarle!
Tutto parte dalla famiglia: è lì che il bambino vede gli esempi concreti, nel bene e nel male. Io vengo da una famiglia di nove figli e mia madre diceva 9 rosari al giorno, uno per ogni figlio. Risultato: tre si sono consacrati (un fratello è sacerdote). Con la preghiera incessante (in campagna, mentre si lavora) si ottiene sempre.

Mentre mi parla, va e viene: non sta ferma un attimo. I suoi movimenti sono decisi, energici, eppure aggraziati, privi di ogni ansia. È la testimonianza concreta di chi si occupa, ma non si preoccupa. Perché, una volta riposta in Dio ogni speranza, a noi rimane la parte migliore: non priva di fatica, ma illuminata dalla fede.


Per approfondire la storia e l’opera di questa comunità, o, anche, offrire il proprio contributo (è possibile anche donare con PAYPAL, opzione consigliabile, dall’Italia): http://www.sestre-mro.info/it/contact.
Oppure, potrete andare a visitare questa realtà coi vostri occhi: ad accogliervi ci saranno sempre un sorriso contagioso e tutto il calore umano che questa terra sa regalare!

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