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Spesso, la vita è paragonata ad un cammino. Si può dire che la proprietà sia biunivoca, perché è senz’altro vero anche il contrario.
Nella vita, come nel cammino, c’è chi corre avanti, impaziente di giungere alla meta, ma rischiando di perdersi il “frattempo”, cioè il cammino stesso che ti conduce alla meta.
Nella vita, come nel cammino, c’è chi si attarda per gustarsi il panorama o fare una fotografia ad uno scorcio medievale , pronto a correre il rischio di arrivare qualche minuto dopo, ma avendo nutrito gli occhi di Bellezza.
Nella vita, come nel cammino, c’è chi si attarda perché, per i più svariati motivi, ha un passo più lento; quando sei tu quel qualcuno, è bello trovare qualcuno che s’attardi con te, ma non è meno bello attardarsi per scoprire che c’è una bellezza, nella lentezza, che la rapidità non possiede.
Ogni cammino richiede scelte e rinunce, sacrifici, doni e sorprese. Dalla scelta di cosa portare e cosa lasciare a casa (puntare all’essenzialità, per diminuire il peso, oppure trasportare un peso maggiore per la comune utilità?), alla scelta della strada (più breve ma più in salita o più lunga ma più pianeggiante?), alla rinuncia di ore di sonno notturno per poter camminare con una temperatura più mite, al sacrificio di andare con il proprio passo per adattarsi a quello di tutti, alla sorpresa di incontrare persone nuove oppure scoprire aspetti di persone già conosciute che ancora non ti erano noti.
Tanti sono i cammini, tante sono le storie, innumerevoli le sensazioni, le emozioni e gli insegnamenti che si portano a casa, qualunque sia il tragitto e la destinazione.

Noi siamo partiti il 27 di luglio e siamo rientrati il 3 di agosto, decisi a seguire a piedi il cammino di san Francesco, dalle Cascate delle Marmore fino ad Assisi, passando per Arrone, Ceselli, Trevi, Spoleto, Foligno, tra boschi di ulivi secolari, piante di rosmarino, mirtilli e finocchietto selvatico, che aprivano la vista su scorci di borghi medievali e campi coltivati, dove il fieno è ormai ad essiccare, in attesa di essere raccolto per l’inverno. Come ogni opera d’arte che si rispetti, eravamo un mosaico di diversità: uomini e donne, dai 18 ai 56 anni, studenti e lavoratori, con un sacerdote ed una consacrata, provenienti da tre parrocchie differenti di Milano.
La nostra originalità e diversità si è rivelata, al contempo, un ostacolo ed una forza: gli attriti sono stati inevitabili, così come le differenti visioni e le priorità. Eppure, nella forza dell’uno ha potuto trovare sostegno e ristoro la fragilità altrui. Come giovani ricci, che ancora stanno imparando ad avere a che fare con i propri ed altrui aculei irrobustiti, nel primo letargo, abbiamo dovuto apprendere come stringerci gli uni agli altri, senza farci del male, senza ferirci nella parte più tenera, che ciascuno ha, persino quando cerchiamo di avere di noi una visione un po’ troppo da “supereroi”.
“La differenza tra un vagabondo ed un pellegrino è che il pellegrino ha una meta” – ebbe a dire, con ispirata intuizione, il cardinale Scola – e niente, più di un cammino, te ne fa percepire la concreta verità: la prima tappa del cammino a piedi, ad esempio, cioè quella dalla Cascata delle Marmore a Ceselli, è avvenuta sotto una pioggia, battente e pressoché ininterrotta, per 6 ore; se fossimo stati senza meta, molto probabilmente, avremmo desistito, avremmo rinunciato ad una tappa, ci saremmo lasciati scoraggiare. E, durante il cammino, sotto il sole, quante volte ciascuno di noi ha pensato: «Ora basta, sono troppo stanco! Mi fermo qui, all’ombra, il sacco a pelo ce l’ho, mi riposo!». Eppure, nessuno l’ha fatto davvero. Solo quando innanzi agli occhi hai una meta da raggiungere, puoi trovare i motivi per proseguire, anche quando sei consapevole delle difficoltà che ti attendono lungo il cammino e la stanchezza si fa sentire, nelle gambe e nel cuore.
Per ricordarci cosa unisse i personali e differenti percorsi spirituali e le diverse responsabilità ricoperte in parrocchia, ogni giorno, ci siamo riuniti attorno all’Eucaristia. Che fosse il cortile del luogo che ci ospitava, una sala della pro loco oppure una chiesa consacrata, quel momento era sempre semplice, eppure curato (in pieno stile francescano: non è mai troppo ricordare come, pur predicando semplicità e povertà per sé e per i propri frati, raccomandava con fervore che la preghiera non passasse in secondo piano rispetto alla teologia e che i paramenti e gli oggetti sacri fossero preziosi, per rendere onore a Dio). In tal modo, ci riportava alla memoria del cuore che Dio ci accompagna, non solo nel cammino di San Francesco ma anche nel cammino della nostra vita, nell’Eucaristia che, oggi come allora, ci dona ut unum sint (affinché siano una cosa sola). Perché, solo in Cristo, possiamo essere una cosa sola, pur senza perdere il nostro essere noi stessi.

Come in ogni esperienza forte di comunità e di spiritualità, è solo al ritorno che riprende la parte più difficile: incamerare quanto appreso e metterlo a frutto, anche quando i chilometri da macinare sono magari un po’ meno, ma lo stress, gli impegni, la fatica, l’oppressione del tran tran quotidiano non sono inferiori.

 

Buon cammino!

 2019 08 05 23.08.20

 

Fonte immagine: selfie sotto la pioggia di Chiara Rapetti, con GoPro

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