Come il sereno dopo il temporale. Come un arcobaleno a rallegrare il cielo, dopo un’acquazzone, che ha interrotto i giochi estivi di una vivace masnada di ragazzini, per le vie di qualche strada di periferia. Per dire che c’è sempre tempo per la speranza, che chi sa guardare il mondo con occhi limpidi, troverà sempre luce in cui riflettere i propri occhi.
Immagini che fanno il giro del mondo.
La semplicità di uno sguardo bambino, lo stupore grato di chi non si aspetta nulla e guarda alla vita come un dono inatteso, piovuto dal cielo, di cui ringraziare, cantando sotto la pioggia, inumidendosi il viso di lacrime commosse e felici.
Un giro del campo di un bimbo, in braccio all’idolo che fa battere il cuore, a suon di dribbling e carisma: il capitano della propria squadra!
Niente di speciale. Tutto speciale.
Perché ogni situazione acquista il significato che le si dà. È importante ciò che ai nostri occhi è importante. È attraverso i nostri occhi che guardiamo il mondo e sono i nostri occhi che comunicano la nostra emozione di stare al mondo e vivere quella fantastica storia che è la vita.
E il protagonista di questa piccola e breve storia, fatta di immagini ed emozione è Jay…, un bambino di dieci anni, piccola mascotte dei Glasgow Celtic, squadra che domenica scorsa ha vinto la Scottish Premiership. Non credo sia un caso. Chiamatelo pregiudizio, ma credo che “il troppo stroppia” e dove i soldi sono eccessivi, il rischio di perdere di vista i valori veri della vita e l’autenticità sia talmente alto che si riveli pressoché impossibile resistere al loro fascino, che tende a far dimenticare la necessaria moralità con cui maneggiarne una così grande quantità. Lungi dal pensare che il denaro sia “il Male”, sicuramente il suo possesso rischia di essere una catena forse ancora più forte della povertà, un’inibizione ancora più impegnativa da affrontare e un attentato alla libertà, nonostante, ad una prima impressione, esso dia l’idea di garantire quella libertà assoluta che ci illudiamo sia il top delle umane ispirazioni.
Fino a che non arriva Jay che, con la sua genuina semplicità, pugnala in petto la nostra falsa convinzione e ci convince a fare la pratica più fastidiosa, che viviamo sempre come autolesionista nei riguardi della nostra autostima: l’autocritica. Che, al contrario delle nostre idee al riguardo, è in verità lo strumento più impegnativo, ma anche più fruttuoso di fronte all’obiettivo (che, al contrario, è decisamente ambizioso) di un’ininterrotta e pertinace crescita umana, quanto meno fino al nostro naturale confine (la morte, che pone fine alla nostra esistenza terrena, ma che, per chi ci crede davvero, altro non è che il trampolino di lancio verso la realtà della Bellezza autentica)!
Samaras, probabilmente è più famoso oggi che in tutta la sua carriera. Proprio lui che, in quella partita, dava l’addio al calcio giocato. Ha deciso di chiudere in Bellezza e condividere quest’ultimo giro di campo con Jay, che ha potuto condividere l’ultimo momento di calcio giocato del proprio idolo. Un piccolo gesto di attenzione, generosità, delicatezza. O, forse, amore per se stessi. Perché nulla dà più gioia del sorriso di un bambino: la gioia del sorriso di un bambino è inversamente proporzionale alla fatica per provocarlo, com’è inevitabile per chi sa cogliere la grandezza dei piccoli gesti!
Qualcuno penserà ad un gesto volutamente mediatico, escogitato apposta dal calciatore, con il fine esplicito di attirare su di sé l’attenzione della stampa. Io non lo escludo ovviamente, perché la telepatia non è tra le mie doti e non ritengo di avere capacità di lettura del pensiero. Tuttavia, alcuni dettagli mi invitano a non pensarla come la prima e più plausibile tra le ipotesi possibili. Jay era un bambino noto ai giocatori. I tifosi hanno spesso a disposizione “gare” in cui vincere giornate coi giocatori o altro e ci sono video che lo ritraggono coi giocatori. Il capitano si è avvicinato sicuro, conosceva lui e il padre ed era certo che non avrebbe avuto problemi. Di quella certezza che deriva dalla conoscenza personale.
Ah già, dimenticavo: Jay ha la sindrome di down. Forse, è solo per questo che ha fatto scalpore.
Signori, siamo onesti. È così importante da chi ci arriva la lezione o è importante la lezione?
Io dico che la cosa più importante è imparare la lezione, chiunque sia l’insegnante, senza vergogna di dover prendere appunti da un bambino down di dieci anni. E la lezione è che lo stupore grato dei suoi occhi dovrebbe stamparsi non solo nei nostri occhi, ma nei nostri cuori, così da poter assaporare tutte quelle gioie che la vita ci offre e che talvolta accogliamo in modo approssimativo, quando non addirittura disprezziamo apertamente, incapaci di coglierne la bellezza. La purezza del suo sguardo ci restituisce quanto ci toglie l’imbecille violenza, la becera noncuranza, la scorata rassegnazione e la colpevole indifferenza di fronte a chi infanga quello che potrebbe essere il gioco più bello del mondo, dagli slums di Nairobi ai grattacieli di New York.
Due sole parole: Grazie, Jay!
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