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Il primo brano mette in luce due categorie: “eunuchi” e “stranieri”. Sono entrambe categorie di persone che, presso il popolo d’Israele, non godevano affatto di particolare prestigio. Anzi! Si trattava, piuttosto di persone tendenzialmente ai margini di quella società. Basti pensare  a quanto prescrive, a loro proposito, il capitolo 23 del Deuteronomio (che è lo stesso libro in cui possiamo trovare anche una formulazione dei Dieci Comandamenti): è proibito loro di “entrare nell’adunanza dell’Eterno”, cioè al cospetto di Dio. Questo è detto degli eunuchi e di diverse categorie di stranieri, nello specifico, di quelli che si sono opposti (o, comunque, non sono stati solidali) con il popolo d’Israele durante la sua fuga dall’Egitto.
All’interno d’Israele erano presenti schiavi, appartenenti ad altri popoli. Alcuni, fra essi, rispettavano o, addirittura, seguivano la religione ebraica. Eppure, non essendo discendenza “di sangue”, generalmente non erano ben visti e tendevano ad essere lasciati, a livello sociale, ai margini.
Gli eunuchi erano considerati tutti coloro che, in seguito a disfunzioni, oppure evirazione, non possedevano le facoltà virili. Per estensione, con ciò si intendevano anche gli omosessuali. È considerata una deviazione dalla norma e, come tale, è prescritta, appunto, l’impossibilità di accostarsi alle cerimonie religiose, che nel capitolo 21 del Levitico, è, del resto, espressamente estesa anche a chiunque abbia quelli che noi definiremmo, oggigiorno ‘handicap fisici’ (zoppi, nani, gobbi, deformi, ma anche chi, semplicemente, è temporaneamente invalido, come chi ha subito una frattura).
La prima lettura, in sostanza, ci suggerisce che il Signore, al di là delle leggi e dei pregiudizi umani, sa guardare il cuore delle persone e leggervi la loro volontà di compiere il bene, persino quando essa non è sorretta dalla capacità di realizzarlo in pienezza.

Nella seconda lettura, invece, dopo aver spronato ciascuno ad essere d’esempio per gli altri, ricordandoci come il cristianesimo si dipani nella storia di una comunità, continuazione della storia del popolo d’Israele, San Paolo specifica dove guardare:

Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo (Rm 15, 5-6)

Molto spesso, il nostro esame di coscienza è riduttivo, perché troppo ripiegato su noi stessi, modellato su quelli che sono i nostri vizi e le nostre virtù, a cui abbiamo ormai “fatto il callo”. Invece di guardarci dentro, rischiamo di guardarci solo allo specchio. Al contrario, l’Apostolo, additandoci il Cristo, ci aiuta a riscoprire in Lui, lo specchio di perfezione con cui commisurarci. Siamo pazienti? Ma siamo pazienti nei modi, nei tempi e nelle situazioni in cui lo sarebbe Cristo, oppure lo siamo quando ci fa comodo, quando costa poca fatica, quando ne abbiamo un personale interesse?
Il cammino di un cristiano dovrebbe corrispondere ad una progressiva cristomorfosi, pur ciascuno secondo la propria condizione ed i propri talenti: attraverso ciascuno di noi, al mondo dovrebbe arrivare l’eco di Cristo. Ecco perché ci è chiesto di puntare in alto, non ripiegarci sulla nostra piccolezza, ma contare sulla grandezza di Chi scommette sul nostro nulla, che, moltiplicato per l’infinito, dà però luogo ad una cifra esorbitante!
Nel vangelo di Luca, troviamo maggiore concretezza alla richiesta di modellarci su Cristo. Possiamo leggere la cosiddetta “regola d’oro”, che si può rintracciare anche in diverse religioni e filosofie del mondo («E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fatelo a loro» – Lc 6,31). Ma è riduttivo appianare l’insegnamento cristiano, unicamente a ciò, perché Gesù va oltre, espande tale insegnamento, fino ad immergerlo nella più pura gratuità. Non è chiesto solamente di comportarci con gli altri come loro si comportano con noi, bensì di comportarci con loro come noi vorremmo essere trattati. Persino quando non siamo affatto trattati in tal modo.

Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi (Lc 6, 35)

Questa è forse una delle pagine più impegnative dell’intero Vangelo, perché ci mette in discussione nel profondo, perché sfida la nostra stessa natura umana a superarsi, nel tentativo di farsi più affine all’amore di Dio.
C’è ben poco di umano, infatti, in ciò: l’uomo ricerca affetto, approvazione, attenzione, da quando nasce a quando muore. Ha una tendenza naturale e spontanea verso ciò: nessuno ama essere preso in giro o lasciato in disparte. È uno dei motivi per il quale il bullismo miete tante vittime. L’essere umano, in particolar modo durante l’adolescenza, è affamato di gratitudine, riconoscenza e riconoscimento, specie, all’interno del gruppo dei pari.
Di più: anche crescendo, è innegabile come, spesso, persino tra chi sceglie il volontariato, persista una sorta di autocompiacimento e ricerca del consenso.
Qui, è dettata una sorta di estetica del bene (la richiesta è di fare il bene perché intrinsecamente bello) che è estremamente forte, carismatica, accattivante, ma, al tempo stesso, rischia di apparire lontana, distante, sostanzialmente utopica e slegata dalla realtà.
In parte è così: solo alla scuola di Gesù, Divin Maestro («imparate da me, che sono mite ed umile di cuore») è possibile aspirare ad intraprendere una strada sicuramente impegnativa. Ma non impossibile.
L’esperienza educativa lo insegna, talvolta, con bastonate morali affatto metaforiche. Quante volte ci pare di ripetere le cose inutilmente, come se parlassimo al vento? Quante volte vediamo i nostri sforzi frustrati da figli-bastancontrariari, adolescenti ribelli, giovani che si allontanano dai valori che abbiano cercato di tramandare loro con la parola e, per quanto siamo riusciti, anche con l’esempio? Eppure, inaspettatamente, ci capita poi di vedere, quel risultato che avevamo aspettato per anni. Quasi una beffa, necessaria a ricordarci che non tutto è nelle nostre mani.

A noi è chiesto di amare gratuitamente. Sull’esempio dell’amore di Dio e quale risposta ad esso (è stato Lui ad amarci per primi, senza chiedere nulla in cambio). Solo assaporando la bellezza della gratuità, la libertà dell’uomo è sollecitata (e solleticata) a rispondervi con altrettanta generosità!

 

Letture festive ambrosiane, nella V domenica dopo il Martirio del Precursore, anno C – Is 56, 1-7; Rm 15, 2-7; Lc 6, 27-38


Fonte: Parole Nuove, don Raffaello Ciccone

Fonte immagine: Pixabay

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