Deuteronomio. Un libro che, già dal nome, incute timore, per altro, confermato, dal tema che lo contraddistingue: la legge antica, che, rinnovata con Mosè, conferma l’alleanza iniziata da Dio con l’uomo, nel popolo d’Israele.
Le norme della vita
Se domandassi quale sia l’utilità di “darsi delle regole”, probabilmente, molti penserebbe ad una ‘quiete sociale’ o alla necessità di concordare un modo di agire comune, per non litigare e per ottimizzare l’utilizzo di spazi e tempi comuni, secondo modalità condivise, così da evitare fraintendimenti e prevaricazioni dei più forti sui più deboli della comunità. Potremmo dire, quindi: per custodire i più fragili, cosicché non diventino vittime; oppure: per prevenire violenza ed aggressioni. Questo, probabilmente, nella nostra mente, condizionata dal sentire comune, sarebbe sensato.
Un limite
Più in generale, potremmo dire che le norme, più che una tutela, sono spesso vissute come un limite. Una strategia per evitare il tracimare degli spiriti più vividi ed impetuosi. Questo modo di pensare mi porta a ricordare il salmo 109: «Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno»[1]. È un richiamo alla morigeratezza ed al pericolo di vivere senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni: il rischio è quello di comportarsi come i fiumi in piena, che travolgono tutto e tutti.
Per la longevità
Rispetto al comune sentire, dunque, leggere “così si prolunghino i tuoi giorni”[2], quale finalità ultima dell’obbedienza ai decreti di Dio tende ad essere un pochino spiazzante. Il popolo d’Israele sta per insediarsi in una nuova terra: il Signore, come una madre, tiene che – anche all’estero, anche quando si è costretti a traslocare, cambiare casa, cercare ospitalità temporanea o definitiva altrove – il figlio non dimentichi i principi ed i valori che i genitori hanno insegnato, spesso mutuandoli dai loro avi. L’invito alla fedeltà, nella cultura ebraica, è invito ad un’adesione alla verità: non senza un tornaconto valido, però. All’osservanza, fa da contraltare una lunga vita. Il numero dei giorni è direttamente proporzionale alla fedeltà all’alleanza.
Per la tua felicità
Sì, è proprio questo il motivo. Al primo sguardo, ci sembra, forse, persino paradossale. “Perché tu sia felice”[3]. Non per ottemperare a un dovere inderogabile. Non per propiziarsi – in modo un po’ paganeggiante, ma, in fondo, ancora oggi, in uso – la divinità. L’obiettivo non è nient’altro che essere felice. Ciò a cui tutti aspiriamo, anche – forse, soprattutto – quando il brivido dell’infrazione di una regola ci illude che sia in quel modo che sia possibile sperimentare la vera libertà, quella che mi consente di esprimermi al massimo del mio potenziale.
Nel nome dell’amore
“Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”[4].
Un ricordo che denota delicatezza, attenzione, cura. Perché chi ama, ricorda.
Oggi, forse lo capiremmo meglio così: “Ti lascerò un post-it sul frigo della cucina, tra le calamite-souvenir dei tuoi viaggi, ti manderò un Whatsapp prima che tu vada a dormire, affinché le prime e le ultime parole che vedrai, ogni giorno, saranno le mie. A costo di darti fastidio, voglio che ti ricordi che ti amo. Da sempre, per sempre. ”
Se, smettiamo di guardare ai comandamenti, come a delle limitazioni alla nostra libertà e un ostacolo al nostro esprimerci, magari potremmo iniziare a vederli come un “manuale d’istruzioni” che chi conosce il nostro funzionamento dall’eternità ha deciso di donarci, a motivo di una nostra piena realizzazione, non certo a scapito della migliore espressione del nostro sé…
Rif. Prima letture festiva ambrosiane, nella V domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore (Dt 6, 1-9; Rm 13, 8-14; Lc 10, 25-37)
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