Venne nel mondo una Parola divina, decisa a fare del suo Regno un lievito pronto a fermentare tutta la pasta informe dell’umanità: «Il regno di Dio é pure un po’ di lievito mescolato alla pasta. Tutta la pasta umana sarà sollevata da una grazia oscura e onnipotente. I cuori apparentemente lontani dal Cristo saranno dilatati. Non si tratta di trionfare con rumore. Bisogna sotterrare l’amore nel mondo» (F. Mauriac). Nel Suo grande Amore, Cristo, decise d’impastarsi con le farinose parole dell’intimo corrotto dell’uomo per farne Comunione. Le parole sono il manifesto del cuore di ognuno. Dimorando come farina nelle staia della coscienza, ad un breve cenno dell’aria, esse creano nebulose di polvere che possono dar vita oppure morte. Piccole molecole polverose sono infatti le parole: sotterrate nella massa come i talenti, possono presentare vite apparentemente senza colpe ma inutili agli altri; unite al lievito madre, possono presentare vite piene di colpe ma riscattate, utili a (far) crescere la massa. Messe in fila -una dopo l’altra, dal cuore alla bocca- le parole possono comporre preghiere in grado di squarciare le nubi o di scaraventarsi a terra subito dopo che le si é pronunciate. L’avvertimento del Maestro ai suoi che gli chiedevano istruzioni sulla preghiera fu infatti: «Pregando non sprecate parole» (cfr. Mt 6,7). Chiarita la necessità della preghiera, al Maestro tornò utile spiegare come farlo. Lo fece dicendo la sua (Parola) a «quelli che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri» (cfr. Lc 18, 9), e mise una “buona parola” tra quelle innumerevoli e vuote di un fariseo e quelle brevi e umili di un pubblicano «O Dio, abbi pietá di me peccatore». Più che due persone, il fariseo e il pubblicano sono due tipologie di farina che risiedono contemporaneamente nel cuore dell’uomo, difficile é ammettere con sincerità, a se stessi e agli altri, di che pasta si é fatti a partire da queste farine! La prima, mischiata al lievito dei farisei, gonfia il cuore del proprio io usando Dio (a questo punto, passare al setaccio orgoglio, presunzione, disprezzo degli altri, pre-giudizio, autosufficienza, spirito di religiosità). La seconda, mischiata al lievito del Regno, gonfia il cuore di Dio annullando l’io. Inizio di salvezza é condannare se stessi, riconoscersi nel fariseo e far propria la preghiera del pubblicano é l’unica ricetta da seguire per capire che siamo tutti della stessa pasta: «Basta che uno pensi al suo peccato e diventa tollerante con tutti» (C. Magris). Fintanto che lievito e farina non sono impastate con l’acqua, infatti, tutte le molecole rimarranno separate. Per un’amalgama più morbida e compatta é necessario, dunque, aggiungere acqua, appellarsi alla Misericordia e riconoscersi peccatori: «Non appena abbiamo coscienza di esser peccatori, Egli si volge: a noi, Dio non rinunzia mai» (F. Sheen). Per ogni grumo di peccato, lasciarsi modellare con umiltà come creta nelle mani del vasaio. La pasta giusta non può lievitare da sé, essa gonfia per alchimia di misericordia divina e miseria umana. Il lievito di Dio fermenta indipendentemente dai meriti e dalle indegnitá perché Egli é Amore: gli impasti più contaminati sanno che loro spetta d’esser più amati perché sono stati i più contaminati.