Chissà quante volte – dall’aula bunker della sua cameretta, iperconnesso– avrà gridato forte in modo che tutti gli inquilini lo sentissero: “Questa casa è una galera!” Frase che, forse, avrà provocato l’eco d’una risposta: “Questa casa non è un albergo!” Tra una prigione e un albergo si è giocata la vita di una famigliola in apparenza senz’alcun attrito, forse pure invidiata: una siepe alta tutt’attorno, la servitù, i vitelli grassi, i sandali e i bei vestiti. Passando, beati loro!: sempre la stessa storia, quella dell’erba del vicino. Che è sempre più verde della tua, salvo poi scoprire, magari, ch’è sintetica. Nessun agio, comunque, riuscirà mai a compensare il lusso della libertà: “Non ne posso più di un padre-padrone: me la caverò da solo!” Fu così che, quel giovane, «partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo da dissoluto». Senza padre né legami: è il benvenuto alla solitudine. Onore al merito, comunque andrà a finire: il tentativo di vivere da protagonista assoluto della propria storia è pur sempre un tentativo.
Se il padre gli avesse detto no – “Non se ne parla! Qui comando io e finchè sono vivo io non si divide nulla!” – il figliocapriccio non avrebbe mai conosciuto il prezzo della libertà, l’ustione della libertà. Assecondando la richiesta, invece, il padre lo mette nella condizione ideale per scoprire che, recise le radici, del suo destino non importa più un fico secco a nessuno: «Nessuno gli dava nulla». Le prostitute, finchè ha soldi, gli offrono una carne; ma, alla fine, manco le carrube riesce a farsi regalare. Meno dei maiali il mondo valuta la sua presenza sfinita, libera da tutti ma prigioniera di un isolamento inaspettato. Da lontano era tutto bello, l’erba era verdissima: da vicino è tutto scortese, straniero, e l’erba è pure sintetica. Non che l’altro figlio, il figliosobrio, se la spassi meglio: senza rendersi conto di ciò che ha – «Tutto ciò che è mio è tuo» – nemmeno lui sa che cosa sia la libertà. Cristo, profeta di libertà, sembra ammonire ad ogni piè sospinto che la cosa peggiore non è perdere la libertà: eventualmente, scontata una pena, la si potrà sempre riconquistare. La cosa più meschina è averla sempre addosso ma non saperla apprezzare, non essere capaci d’amarla. Viaggiare con lei addosso e non accorgersi di quant’è bella solo perchè l’abbiamo sempre avuta con noi.
Pare buffo, ma il figliocapriccio inizia ad amarla quando, sentendosi dire di sì dal padre, la getta alle ortiche con le sue mani. Ha sperperato tutto, eccetto la chiave d’ingresso di casa sua: «(Andrò da) mio padre». Tutto si è fatto maceria, e quando tutto diventa materia fiuta l’unica cosa rimasta viva sotto le macerie: la memoria di papà, la magia di quello spazio dove ti senti al sicuro anche quando è buio pesto. Quando ha tutto ciò che sognava d’avere, scopre di desiderare ciò che aveva già avuto gratis, appena nato. Non si accontenta più di fare ciò che vuole: s’accorge che, senza qualcuno al quale appartenere, non è poi così bello vivere come pareva. Rifiutando papà, s’è perso per strada: è un orfanello con il padre vivo. Che, appoggiato alla finestra, è stato assunto per svolgere il lavoro più massacrante per un padre: aspettare, sostare in attesa. Sperare che torni perchè se il figlio fallisce, fallirà anche il padre: a casa si vince e si perde in due.
Alla finestra – non a letto – il papà medita sul suo destino di padre: “Se lui non torna, sono perduto anch’io: allevandolo, ho appeso il mio destino di padre alla sua libertà”. Il destino del padre dipende sempre dalla libertà del figlio: per questo non esiste avventuriero più grande d’un padre e d’una madre oggi. Tutto è loro contro, a tutto vanno incontro, tutto mettono in conto, anche la possibilità più rischiosa: che il figlio, in nome della libertà, non torni più. Oppure che resti e viva senz’accorgersi di com’è bello vivere da figli che appartengono a qualcuno: liberi d’andare e venire senza subire dieci milioni di domande umilianti. Se Dio è un papà così, chissà da chi ha preso quella Chiesa che si diverte a rimarcare la stagione delle prostitute e dei maiali, senz’accorgersi che il figlio è tornato a casa.
(da Il Sussidiario, 26 marzo 2022)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”» (Luca 15,1-3.11-32).
Editoriali del Tempo di Quaresima 2022
Mercoledì delle Ceneri, Una strana allegria al pensiero di riprovarci, 2 marzo 2022
I^ Domenica di Quaresima, Il porcello e il Santo, 5 marzo 2022
II^ Domenica di Quaresima, La Chiesa che s’addormenta, 12 marzo 2022
III^ Domenica di Quaresima, E’ difficile calcolare la mia età, 19 marzo 2022
Solennità dell’Annunciazione, L’annunciazione dell’angelo a Mariupol, 25 marzo 2022