maria nazareth

Se il primo versetto della Prima Lettura richiama i “lavori in corso” del Battista-tutto fare, che ha rivestito il ruolo di protagonista, nella preparazione d’Avvento, il tono cambia subito dopo.
«E tu sarai chiamata Ricercata,“Città non abbandonata”» (Is 62, 12): sono le parole che ciascuno di noi vorrebbe rivolte a sé. Sapersi voluto, desiderato, ricercato. Sapere che la propria persona “valga la pena”, almeno agli occhi di qualcuno. A maggior ragione, se questo qualcuno è Dio stesso. Nonostante sembrino lontane, fanno da specchio le parole del Vangelo rivolte alla Madonna: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te!» (Lc 1, 28). L’annuncio dell’angelo è – innanzitutto – un annuncio di bene-volenza: “sta’ tranquilla, Maria, al cospetto di Dio, godi di ottima stima. Dio ti vede ed è contento di te, ti è accanto!”. La Vergine, con intuito femminile, pare comprendere subito che, difficilmente, una simile rivelazione, possa avvenire a buon prezzo, infatti fu molto turbata. Quasi a domandarsi, d’impeto, cos’abbia portato il Signore dei Cieli a far scomodare un angelo apposta per l’occasione, per arrivare fino a lei, in una casa di una borgata della Galilea, come ce n’erano a migliaia, nella regione.
Sul finire della prima lettura, abbiamo poi un’altra immagine, che sottolinea grandiosità, autonomia e potenza del Signore, come capo di un esercito e lottatore. Ci pare quasi una stonatura. Un retaggio dell’antico, ormai desueto. In realtà, il Vangelo non ha abdicato alla guerra. Piuttosto, ne ha mutato l’oggetto.
Se nell’Antico Testamento, la guerra è necessaria, affinché il popolo d’Israele possa riassaporare la propria libertà, il Nuovo Testamento rende esplicito chi sia il vero avversario. È il peccato che allontana l’uomo da Dio, ne allenta i vincoli e rischia di offuscarne il ricordo.
Ci è utile quindi ricordare che Dio lotta e lotta con noi. Anche quando ci sentiamo soli ed abbandonati e ci sembra che dagli uomini non ci arrivi altro che ingratitudine. Dio ci sceglie ogni giorno, ogni giorno ci riveste di nuova forza e ci sprona a non arrenderci, di fronte alle avversità, che ciascuno di noi affronta, nel cammino della nostra esistenza.
Il Salmo 71 ci richiama alla pace. È forse una contraddizione, oppure, come recita l’adagio “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra)? Viviamo un’epoca che non è stata funestata (direttamente) dalla guerra. Molti, fra noi, non l’hanno mai vissuta né sperimentata. Tutto questo è estremamente pericoloso. Perché non conoscere un pericolo, è il modo migliore per trovarsi disarmati ed impotenti, proprio quando esso si rafforza. Maria ci mostra quale sia la Buona Battaglia, per cui vale la pena armarsi di tutto punto. È quella contro il Male, perché allontana dall’amore di Dio, ci porta allo sconforto e alla disperazione.

L’avvento di Dio è portatore di gioia. Persino quando irrompe nella tranquilla quotidianità di una vita di periferia, come quella della giovane Maria di Nazareth, le prime parole, con cui l’angelo si presenta alla Vergine, sono piene di gioia e di speranza, persino oltre ogni ragionevole aspettativa.
Che debba venire il Messia era noto. Ma la modalità ha effettivamente spiazzato tutti.
Prendere corpo d’uomo, nel grembo di una fanciulla, farsi bambino, in una famiglia nutrita di lavoro, fatica, pazienza, preghiera, in una nazione oppressa sotto il giogo della conquista romana. Per conquistare il mondo dal basso, sottraendolo allo strapotere dell’arroganza, dell’orgoglio, della vanagloria, del dominio, del possesso.
“L’annuncio atteso da secoli, diventerà concreto, dentro di te”. Questo l’annuncio che riceve Maria. Questa la prospettiva in cui nasce il suo sì, da cui è dipesa la salvezza dell’umanità.
Sì: così è piaciuto a Dio. Ha scelto di lasciare che la speranza della redenzione dell’umanità intera rimanesse appesa alla libera scelta di un’adolescente di Nazaret. Vuoi, Maria?
Avrebbe potuto dire di no!
Il fatto che non l’abbia fatto non implica l’impossibilità di farlo. Dio ha scelto, nella sua libertà, di rinunciare alla propria onnipotenza, per legarsi alla libertà di una donna di collaborare al divino progetto di redenzione.
E qui entra in gioco Giuseppe, di cui in questo brano non sentiamo fare menzione. Ma Maria non è una donna sola: avrebbe potuto esserlo, ma non lo è. Ha un uomo accanto, che accompagna la crescita del figlio. Un uomo a cui dire una cosa oltre-ogni-logica: aspetto un figlio, non è tuo ma non ti ho tradito. Roba da perderci la testa! E, sicuramente, poco ci mancò. Nulla avviene per caso, però. Giuseppe, uomo giusto, di poche parole, ma di fatti capaci di manifestare la bontà dell’animo, sa unire mitezza a fortezza, decisione a calma, imperturbabilità a solidità.
Quante chiacchiere avrà dovuto sopportare quella coppia insolita, in un paese piccolo, dove tutti si conoscono?
Ciò che conta davvero, è che le hanno affrontate insieme, con lo sguardo a quel cucciolo d’uomo che – anche se pareva impossibile, per gli occhi, a credersi – era Dio, venuto a salvare. Yeshua, appunto.

Tra mille doni, pacchi e pacchettini, cene e feste di ogni tipo, l’invito è a rinnovare la gratitudine, per non perdere di vista il vero Festeggiato che, come capita a qualche bambino, rischia di essere nascosto alla vista da tutti i doni da cui è ricoperto. È a quel Bambino che dobbiamo, ogni giorno, imparare a far tornare lo sguardo, facendo riaccendere lo stupore, nel dono immenso ed incalcolabile di un Dio che ha scelto di spogliarsi della propria onnipotenza, pur di venirci incontro: che si è fatto in tutto simile a noi (eccetto nel peccato), per svelarci la nostra somiglianza con Dio!

 

Impariamo da Maria l’arte del silenzio e dell’ascolto, l’arte del nascondimento e della preghiera, per vivere con intensità, accanto a lei, questi ultimi giorni che ci separano dal Natale. Impariamo da Giuseppe la necessità di non tirarci indietro, di fronte alla notte e a non illuderci che, solo perché giriamo senz’armi, la vita non sia una lotta senza sosta.
Ognuno diventa ciò che ascolta, ciò che osserva, ciò che rappresenta la quotidianità dei suoi pensieri. Ciò di cui ci circondiamo diventa quello che nutre il nostro sguardo e il nostro ascolto. Se è Bellezza, respireremo Bellezza, ma se ci circondiamo di violenza, sopraffazioni, odio, sarà inevitabile tendere all’assuefazione e far fatica a respingerle dalla nostra vita.
Dopo aver nutrito lo sguardo, posandolo sulla Sacra Famiglia, torniamo alla nostra, torniamo ai nostri amici, colleghi. Sì, siamo un po’ più sgangherati, facciamo più fatica a fare silenzio e ascoltare, ci lamentiamo di più e agiamo di meno. Ma non credo che non riusciamo a trovare motivi di gratitudine. Per quell’amico che sa trovare tempo per noi. Per quel parente che non ci ha dimenticato, dopo tanti anni. Per quel figlio, che, anche se mi fa disperare, alla fine, trova sempre il modo di strapparmi un sorriso. Per quel collega, che sembra sempre avercela con me, ma, alla fine, non riesce a nascondere l’apprezzamento per una buona idea. E se davvero non troviamo motivi di gratitudine, perché non diventare noi il motivo della gratitudine, per qualcun altro?

 

Rif: letture festive ambrosiane, nella VI Domenica d’Avvento (dell’Incarnazione o della Divina Maternità), Anno A – Is 62, 10-63,3; Fil 4,4-9; Lc 1, 26-38


Fonte: don Raffaello Ciccone, Parole Nuove
Fonte immagine: Infocilento.it

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