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Decisero di protestare con lo stupore. A minacciare la loro serenità era ciò che angustiava, negli stessi anni, lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry: «Giocano a bridge e credono che il bridge sia il fine ultimo della gravitazione universale». Quando decisero d’incontrarsi, in 556 ci misero-la-faccia. Erano uomini e donne divisi su tutto: ad unirli fu la stanchezza d’essere schiavi. La schiavitù del farsi la guerra, quella faccenda ebete e cretina per spartirsi un pezzo di terra. La schiavitù degli umani: Mussolini-Stalin-Hitler, fecondandosi tra di loro, avevano prodotto la più alta dose d’afflizione di ogni tempo. Mai più! – si sono giurati guardandosi nel volto, chiamandosi per nome. Erano uomini coi piedi ben piantati a terra: Dossetti, De Gasperi, Calamandrei, La Pira, Croce, Nenni, Togliatti, Nissi, Lussu. Rialziamoci, fratelli! Parola di Einaudi, Segni, Saragat, Pertini, Scalfaro, Leone. Una rappresentanza di gente-schiava diventata, con un colpo d’ali e di fierezza, una cooperativa di soci: il 2 giugno 1946 il popolo scelse il rischio della libertà alla certezza della servitù. Abbandonarono la teoria appena s’accorsero, scorticata la pelle e derisa l’anima, che produceva più oscurità che chiarore.
I venditori di pubblicità sanno bene che le masse non hanno memoria. Forse per questo quegli uomini-donne si diedero una Costituzione, quasi un credo-laico: che nessun figlio, dei nascituri che sarebbero arrivati dopo, corresse anche solo il rischio di diventare schiavo di qualche-uomo. La morte si accetterà solamente quando si troverà la propria espressione in qualcos’altro, di più vasto. Loro, che in quanto a genialità non furono mai secondi a nessuno, restituivano l’anima-bambina alla Repubblica solamente con la maniera che avevano di guardarla: più che di tecnici, il loro fu un governo-di-pittori. Per questo vollero a tutti i costi difendere la bellezza: non avrebbero mai accettato di sostituire alla vita un repertorio geometrico. «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca tecnica e scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» (art. 9). A quel tempo i soldi erano pochi, le tasse germogliavano come pidocchi: eppure decisero d’investire quei pochi soldi che avevano per la difesa della bellezza. L’Italia, come l’immaginarono loro, era una mamma che si toglieva il pane dalla bocca per proteggere il futuro dei suoi figli. Il popolo greco, per tinteggiare la bellezza, s’è inventato l’aggettivo kalòs. Ha la stessa radice del verbo kalèo: “chiamare, convocare, adunare”. La bellezza è una voce: chiama, evoca, crea fascinazione. Difendere la bellezza è difendere la chiamata-ultima, quella della felicità, il fiore che germoglia nella terra della libertà. Nessuna forma di felicità apparirà mai senza la condizione della libertà: «Credo si debba ammettere, prima di ogni altra cosa, che tutto dipende da noi stessi» (A. de Saint-Exupéry).
La Costituzione Italiana l’hanno scritta in diciotto mesi: la penna che stilò la prima bozza fu quella di un diciottenne di Puglia, Aldo Moro. Uniti, partorirono un’epica del quotidiano. Oggi vogliono rimetterci mano: tutti disuniti a cambiare ciò che è stato scritto uniti. Rischiando d’offendere l’intelligenza: “Ritocchiamola, fratelli. Così sarà più facile governare la nazione!” – dicono i menestrelli in questi giorni di sagra popolare. “Abbattiamo la casta, dimezziamo il numero dei politici, riappropriamoci della nostra storia”. I primi, i padri-costituenti, hanno sfiorato la santità: i secondi, i padri-illeciti, hanno già oltrepassato il livello d’allerta in quanto ad offesa. La bellezza non è monetizzabile. Meglio un governo-spendaccione che una nazione-schiava: preferisco di gran lunga un senato-litigioso piuttosto di una sala-professori pilotata dal preside di turno. I miei padri si sono tolti il pane dalla bocca per tutelare la bellezza che era questione di cultura e ricerca, paesaggio, storia e arte: oggi sembra non importare granché. L’unica cosa che ho intuito, vedendoli azzuffarsi, è questo: ciò che è minacciato è molto più grande di quello che immaginiamo. Per questo l’hanno buttata sul risparmio, che alla fine sarà sempre un falso-risparmio, cioè una ruberia sotto falso-nome.
Io, a votare, ci andrò!
La Costituzione è la mia carta d’identità, il racconto di cos’ha sognato mio nonno, la più bella eredità che mi hanno fatto trovare i miei antenati. Vado perchè «abbiamo costruito una cattedrale, che è stata poi consegnata alle affitta seggiole e ai sacrestani, non certo al suo grandioso architetto» (A. de Saint-Exupéry). Il voto è l’unico strumento che possiedo per dirle il mio amore, per ricordarmi che le radici mantengono sempre la parola.
Tu non monetizzerai la Costituzione!

Buona settimana!
don Marco Pozza


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