Ciao a tutti!
Alzi la mano chi sa da dove ha origine la forma di saluto più usata da noi italiani, una parola di quattro lettere che ripetiamo da mattina a sera, magari con intonazioni diverse a seconda del nostro stato di sonno o veglia, d’animo o destinatario.
Un po’ per simpatia, un po’ per un briciolo di sano campanilismo veneto, posso dirmi orgogliosa delle sue origini veneziane.
“Amici, vi sono schiavo.” (C. Goldoni, La locandiera)
“Servo vostro!” (C. Goldoni, La bottega del caffè)
S’ciao, ovvero servo, schiavo, appunto.
Ebbene sì, ogni volta che salutiamo qualcuno non ci limitiamo a questo, ma in senso lato gli stiamo offrendo i nostri servigi, una sorta di inchino reciproco in cui riconosciamo nell’altro qualcuno che può aver bisogno di noi.
Nell’epoca della tanto sbandierata libertà di fare qualsiasi cosa, il saluto al prossimo che ci ricorda che in qualsiasi momento siamo i suoi aiutanti suona quasi strano e anacronistico. L’idea di essere servi-altrui ci proietta nella mente immagini di svilimento, di rinuncia alla nostra personalità, qualcosa da evitare a tutti i costi. Forse perché non esistono più servitori alla maniera antica, ma al massimo maggiordomi, nei romanzi gialli quasi sempre vituperati ed eletti a responsabili del crimine di turno.
“Ecco la serva del Signore.” (Lc 1,38)
Inutile girarci intorno, proprio per i motivi appena elencati l’appellativo di Maria fa storcere il naso a tutti quelli che non vedono l’ora di scagliarsi addosso al fenomeno della fede. Se Maria si autoproclama serva di Dio, significa che sta rinunciando alla propria libertà, quindi la fede sarebbe un modo come un altro per mettersi le catene ai polsi.
Si potrebbero scrivere fiumi di inchiostro di esegesi, per spiegare che i “servi-del-Signore” nell’Antico Testamento erano gli eletti da Dio, come i patriarchi ed i profeti. Si potrebbero altresì usare fiumi di parole per raccontare come alcuni servitori, in epoca antica, fossero i più stretti collaboratori di gente di potere, depositari di segreti e conoscenze che nessun altro possedeva e quindi indispensabili in momenti che potevano essere cruciali.
La verità più semplice, invece, è che il servire Dio non significa togliere qualcosa alla propria vita. Semmai è un aggiungere.
Non è una sottrazione, né una divisione: l’aritmetica qui alza le braccia e si arrende, la logica di Dio si fa beffe di quella umana. L’essere servi di Dio è tutto un sommare e moltiplicare. Moltiplicare l’amore verso gli altri, sommare l’attenzione nei confronti di chi ha bisogno, aggiungere spazi di cuore in cui far albergare colui nel quale si ripone la propria fiducia.
“Ecco la serva del Signore.”
Altro che svilimento o annullamento. Maria qui è la collaboratrice più fidata di Dio, che nell’accettare di essere Madre-di-Dio si fa di una grandezza incomparabile. Nulla a che fare con il prestigio umano, però, di quello la piena-di-grazia non sa che cosa farsene. Sullo sfondo dell’Annunciazione si staglia il legno impietoso di una croce che attende solo d’essere abbracciata per riconciliare un’umanità intera. La sua grandezza, allora, sta nel riempirsi d’amore così tanto da farsi culla per l’Eterno – quello con la maiuscola, sì – dai suoi primi teneri vagiti presso una mangiatoia, fino alla cima del Golgota.