“Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava…”(cfr. At 1, 9-10)
Come un super-eroe! Roba da far invidia a Capitan America. Lui se ne va così, sottratto da una nube. La stessa che ricoprì Mosè per sei giorni sul Sinai, che riempì il tempio di Salomone (1 Re 8,10), che avvolse Maria e la ricoprì facendo riecheggiare l’inno più incoraggiante di sempre: “Nulla è impossibile a Dio” (cfr. Lc 1, 37). Molto più che semplici e cinematografici effetti speciali… Colpo di scena: è tutto vero! E quelli che ci credono li riconosci da questo atteggiamento: fissano il cielo. E’ tutto un perlaceo ridere di luce, e come in un fantastico dejavù, la notte dei desideri e della stella cometa sembra coincidere col crepuscolo dei saluti e delle ovattate dissolvenze. L’Incarnazione e l’Ascensione lì, insieme, perché ce lo aveva detto: nessuno è mai salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo (cfr. Gv 3, 13). Luce che scende dal Cielo e va incontro alla Luce che sale. Luce, che si manifesta per ciò che è, adesso, come nella notte natalizia. Luce più luminosa di quella del sole. Gli occhi- lampada di tutto il corpo (cfr. Lc 11, 34)- si spostano su, in alto. E in quell’orizzonte azzurro e terso si scopre che la linea dell’orizzonte coincide con quella del patibolo, la linea delle braccia spalancate, del “ti amo tanto così”. Si, ancora la Croce, ancora e solo lei ha il potere di modificare il nostro sguardo, di donarci la forza di cambiare vita, proprio in virtù della remissione dei peccati non si è più vittime dei propri fallimenti; proprio lì, in quella intersezione tra orizzontale e verticale accade l’Amore, accade la Vita. Perché in fondo, é da sotto la Croce che si impara a guardare su… é da laggiù che si impara a puntare in alto. Da laggiù impariamo ad attendere- ritti- protesi in avanti. La Resurrezione, l’Ascensione, il ritorno. Lo diciamo ogni giorno: nell’attesa della Sua venuta. Impariamo a tendere le mani, a stare arresi. Protesi nell’attesa, arresi nel distacco. Lì s’impara ad alzare il capo, che non é aver la testa per aria, non è andare oltre le nubi ma oltre le forme, appropriarsi di uno sguardo celeste comunque impregnato di terra, di miseria, di nefandezze, ma capace di carpire le fessure di cuori che aspettano di essere spalancati, di terreni da coltivare per custodirne i semi divini, di ridestare i germi santi di ciascuno, di captare le attese e le speranze di uomini e donne, figli di Dio e far emergere le forze più belle. Di essere testimoni. Noi, ricordo vivo di Lui. Mediante lo Spirito, Egli vive in noi. Dal trono della croce all’intronizzazione di Dio dentro di noi c’è lo spazio di uno sguardo verso l’alto. Dio che prima era davanti a noi, poi con noi, ora è dentro di noi. E’ evidentemente tutto una trasformazione, come un passaggio di poteri, un’investitura: io non ci sono più, adesso ci siete voi, Io quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me (cfr. Gv 12,32).
L’Ascensione è un segnale stradale che ci indica la direzione; non più “a destra” o “a sinistra”, ma “in alto, sopra, su-per”. E allora alziamo lo sguardo, innalziamoci: dall’odio di classe, dall’invidia, dall’avarizia, dall’autosufficienza e dai recinti delle nostre sicurezze, dalle lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, dalla superbia delle nostre conquiste. Innalziamoci, innalziamoci, innalziamoci a Lui. Sempre più su-per!