German e Pita

Facciamo un gioco.
Immaginate di essere una pianta, quella che volete voi.
Figuratevela nella mente, con tutti i dettagli: l’altezza, il verde brillante delle foglie, il fusto più o meno nodoso.
Un bel giorno di primavera venite al mondo. Le prime temerarie foglioline fendono il terreno e vengono baciate dai raggi del sole. Il nutrimento della terra ed il calore vi fanno crescere sempre di più, mentre pian piano anche le vostre radici si fanno più forti e salde. Ciò che vi circonda è anche il mondo che determinerà le vostre scelte. Se tutti i giorni soffia un vento impetuoso da est, per esempio, non sarà difficile vedere che man mano il vostro fusto s’inclina seguendo la scia delle raffiche, assecondandole ma senza cedere ad esse.
La situazione appena descritta è quella che il filosofo danese Soren Kierkegaard espose come “campo di possibilità” e vorrebbe essere più o meno il sunto di tutta la vita umana. Se si nasce in un certo luogo, in una determinata epoca storica e con un background definito, quello sarà il campo di possibilità entro cui ci si muove. A qualcuno capiterà di vivere la sua vita come fosse in un campo verdeggiante, ad altri in un luogo desertico ed ostile.
Se tutto questo vi suona un po’ familiare e vi sembra simile ad un passo dei vangeli, non vi state sbagliando. Kierkegaard oltre che filosofo fu anche teologo e maturò questa prospettiva di vita proprio dalla parabola del seminatore.

«Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra cadde fra i sassi, dove non c’era molta terra, e subito spuntò perché non c’era un terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. Un’altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. E un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno» (Marco 4,3-8)

La sua riflessione si slegò tuttavia dal significato teologico della parabola e si tramutò in significato esistenziale, oppresso tuttavia da una pesante cappa di negatività. Quel campo di possibilità, affermava, è una delle cose più angoscianti che possano capitare all’essere umano, perché il fallimento, la caduta, sono sempre dietro l’angolo e possono condurre ad una cieca disperazione che può non vedere mai nessuna luce in fondo al tunnel. Nel nostro minuscolo raggio di attività ci si pongono davanti scelte cruciali che ci determinano e le conseguenze di esse sono qualcosa con cui dover fare i conti e di cui dover rendere conto, un giorno.
Alè, una roba da far deprimere anche i sassi.
In parole povere – seguendo il ragionamento di Kierkegaard – se uno nasce e vive tra gli esquimesi non avrà mai nel suo campo di possibilità di diventare campione di beach volley. Così come chi nasce e vive in Messico o nelle Isole Tonga, e non ha mai visto la neve in vita sua o quasi, non avrà – sempre nel suo famigerato campo di possibilità – l’opzione di partecipare alle olimpiadi invernali proprio nella categoria degli sciatori.
E invece no, qui casca l’asino, con tutto il rispetto per il povero Kierkegaard.
Esiste qualcosa che si chiama forza di volontà, voglia di mettersi in gioco sempre e comunque, fino a trovare il modo di imboccare una strada che per tutti pareva impossibile.
Per chi ha seguito le olimpiadi invernali da poco terminate saprà che oltre alle medaglie da podio esistono altre storie degne di nota. Storie che non raccontano di metalli preziosi o di aspirazioni ad essi, ma vicende che s’accontentano di essere state lì, ai blocchi di partenza, perché già l’esserci è stata una vittoria più bella di qualsiasi altra.
German Madrazo e Pita Taufatofua si sono conosciuti e supportati sulla neve.
Il primo, messicano di 43 anni, è uno sciatore dilettante che sognava di partecipare ad un’olimpiade invernale. Il secondo, delle Isole Tonga, è il primo atleta a concorrere in due olimpiadi diverse – invernale e non – e in due discipline completamente differenti, quali il taekwondo e lo sci di fondo. La vita e il loro volerci provare nonostante i maligni presagi dei “gufatori” di professione li ha portati ad allenarsi insieme sulle nevi dell’Austria, nei dieci mesi che hanno preceduto i giochi olimpici.
Ognuno ha riconosciuto nell’altro il proprio sogno e nel percorso di allenamento insieme si sono fatti forza a vicenda, spronandosi a dare il meglio di sé, a non lasciarsi abbattere dallo sconforto o dalla fatica della preparazione.

“Combatti ancora un giorno fratello, fino alla fine.” (Pita Taufatofua)

Il campo delle possibilità è più vasto di quanto si possa immaginare. Dove Kierkegaard aveva visto limiti che generavano angosce, German e Pita hanno saputo intravvedere traguardi, possibilità di crescita personale, occasioni per realizzare un desiderio a lungo sognato. Alla faccia di ogni pessimismo cosmico.
L’arrivo alla tanto agognata meta è stato un regalo conquistato con tutte le proprie forze. La posizione in classifica? Irrilevante, se il vero sogno si è realizzato non quando sei arrivato, ma già da quando sei partito, perché solo l’averci creduto è già un premio di considerevole valore, più significativo di una medaglia al collo.
C’è chi permane nell’immobilità della propria esistenza, limitando il proprio campo di possibilità ad un fazzoletto di terra, perché lo si sente un porto sicuro. Non è un comportamento da leggere in modo esclusivamente negativo, ci sono punti fermi, saldi “come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti…” (Dante, Purgatorio, Canto V) e che possono essere fari con cui confrontarsi, con cui essere d’accordo o meno, ma pur sempre fonte di crescita.
C’è chi poi non si accontenta del proprio campetto e chiede qualcosa in più, ma è anche consapevole che quell’alzare lo sguardo necessita di sacrificio, di forza interiore che va ben oltre il semplice capriccio, di impegno concreto.
Chiede lo stesso coraggio che serve per muovere il primo passo, perché ad esso ne succeda un secondo, poi un terzo ed altri ancora. Il rischio calcolato, lo vediamo con i bimbi ai primi movimenti incerti, è la perdita dell’equilibrio, ma solo se lo accettiamo come parte delle regole del gioco possiamo metterci in marcia, per superare limiti che sembravano invalicabili.

*Il titolo dell’articolo è una citazione tratta da L’ultima riga delle favole, di Massimo Gramellini.

Fonti:
German Madrazo, la sua storia.
German e Pita, la loro storia.
L’arrivo di German e Pita al traguardo dello sci di fondo.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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