DiNoto
I bastardi lo sanno che con i bambini è semplice capirsi: quando ti prendono la mano, hanno già deciso di fidarsi di te. Hanno dei tergicristalli negli occhi, son capaci di scovare il tutto nel nulla: gli uomini trovano il nulla nel tutto, scriveva il poeta Giacomo Leopardi. Eppure, ancora troppi di questi bambini sono costretti a vivere nell’inferno, quello stomachevole, della pedofilia, della pedo-pornografia, di quel mondo lurido popolato di orchi che li prendono per mano, accarezzando il sogno di violentarne l’umanità, la dignità, la sopravvivenza. Qualcuno di questi li frequento: per conto-di-Dio, visto che, nelle galere, qualcuno di loro ci resta per anni. Le gesta per le quali sono stati condannati talvolta sono state così sudicie che è ostico riconoscere l’uomo dietro quel suo reato, l’angelo dietro la bestia, il cuore nel mezzo dell’infarto. Eppure, da qualche parte, c’è: è rimasto intatto, soffocato, bistrattato. Quando resiste – perché resistere non è sempre facile – il paradosso è che quell’uomo ritorna bambino. Risvegliandosi dal coma del male, prova vergogna, ribrezzo, si mostra persino incapace di perdonarsi. Il bambino che nasce è il segno che Dio non è si è ancora stancato dell’uomo: un bambino violentato è il segno che l’uomo si è stancato di Dio. Stanco morto che Iddio gli ricordi il fanciullo che anche lui è stato. Il pedofilo è un vecchio-bambino triste.
Quell’inferno di merda liquida lo conosco. Non l’ho mai attraversato da solo: il male, quand’è allo stato puro, è pericolosissimo, altamente scivoloso, non è mai uno scherzo. Quando lo è, è uno scherzo idiota, da idioti. Lo attraverso spesso in compagnia di un uomo: è pure prete, ma ciò che conta è l’uomo che è. Sono oltre due decadi che, da autodidatta, sfida il male faccia a faccia. “È sempre su per il computer. Non ha altro da fare?”, dicono i suoi detrattori. Che sono tanti e pure importanti (nelle misure di quaggiù). Dicono la nuda verità, visto che don Fortunato Di Noto, siciliano di mare aperto, sfida Lucifero a colpi di clic. Perché il male è furbo, e quest’uomo lo sa: cacciato dalla porta del reale, è rientrato per la porta del virtuale. Quel mondo che, per quanto lo si vieti, non è mai vietato ai minori di nessuna età: terra di nessuno, zona franca, spazio aperto. E i bambini, nel frattempo, annegano, sprofondano. Annaspano ruggendo. Una volta sola ho visto, in sua compagnia, uno di quei video luridi che lui, minacciato di vedersi la testa spaccata, continua a denunciare: sono passati tredici anni, ma lo schifo mi è ancora attaccato nello sguardo. Non pensavo si potesse alzare l’asticella così in basso. Alzarla in basso: è l’esatta sproporzione di un’anima che si è persa. Il peso della missione di don Fortunato Di Noto abita tutto qui: risvegliare il mondo – anche della nostra amabile e contestabile Chiesa – da questo coma prima che diventi irreversibile. Prima che sia troppo tardi. Oggi, grazia alla testardaggine di quest’uomo violento col male, si celebra la XXII^ Giornata dei Bambini Vittime.
Ogni anno è la stessa domanda ad affacciarsi: “Serve poco pregare: bisogna fare”. È la domanda più stupida che sia mai stata formulata in italiano. Per due motivi: perché pregare non è non-fare, è importunare Dio: materia di sudorazione assoluta. È gettargli addosso tutto il dramma bambino: “Non ce la facciamo più! Solo Dio potrà liberarci da questo inferno”. Poi – dal momento che anche il cuore è organo riproduttivo, maschile e femminile – pregare è stringere la mano a questo eroe solitario (anche se la sua è una squadra d’assaltatori) di nome Fortunato, don. Se solo sapessi che poi mi ritorna in vita, vorrei vedere anticipata la sua fine, che da anni è in fase di costruzione avanzata. Lo vorrei vedere morto – per un istante, però – perché l’uomo potesse fiutare che i cani fedeli al padrone abbaiano quando il nemico forza la serratura. Gli altri cani, quelli che di fronte ai banditi non abbaiano, sono cani-drogati. Il male è un sogno-drogato. Anche il Papa, oggi, si unirà alle litanie bambine di Associazione Meter: chi frequenta Cristo, sa bene che, nell’oscurità, o si maledice il buio o si accende un fiammifero. Il fiammifero di don Fortunato.

(da Il SussidiarioIl Mattino di Padova, 6 maggio 2018)

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